Set 242022
 

Vivere la fede è aprirsi agli altri. La professione della propria fede è sterile se non si volge all’atto pratico, se non diventa una vita aperta e ospitale verso il prossimo. La fede vissuta apre gli occhi alle esigenze e alle necessità di chi ci sta attorno e chiama ad agire a immagine di Gesù.

Commento di DON MARIO ALBERTINI

Allora “c’era un ricco e c’era un povero”, ma oggi “ci sono tanti ricchi (e dobbiamo sentirci così anche noi!), che non si accorgono dei tanti poveri sempre più poveri che stanno alla porta.” Qual è il vero peccato del ricco della parabola? non di essere ricco, ma di non accorgersi del mendicante, di non fare attenzione a chi si attende un aiuto, di non riconoscere come fratello quel povero, insomma: di pensare solo a se stesso.

Forse diceva: non è colpa mia se Lazzaro è povero, io non gli ho fatto niente di male! Ma non gli ha fatto neanche niente di bene, e questo è altrettanto grave. Dobbiamo pensarci. Lo spreco, il volere l’abito o le scarpe o la cartella di scuola firmati, le vacanze più dispendiose, e che so io: rischiano di metterci nella situazione del ricco della parabola. Gesù non si sofferma a descrivere la vita dei due, fa soltanto pochi cenni. Ma ‘è un particolare: del povero fa il nome, Lazzaro, del ricco invece no. Di solito, per noi è più facile conoscere, ricordare e citare i nomi e i titoli delle persone importanti, e trascuriamo i nomi di quelli che ai nostri occhi sono insignificanti. Noi forse avremmo detto: c’era un ricco, il signor Tal dei Tali, e c’era un poveraccio che chiedeva l’elemosina… Gesù, precisando il nome del povero e non del ricco, ci rivela che agli occhi di Dio non ci sono le personalità, ci sono le persone; e se ha delle preferenze, queste riguardano i poveri. Potessimo dire: la preferenza Dio ce l’ha per noi, che ci riconosciamo poveri davanti a lui. La parabola sembra la storia di uno che va alla perdizione – ma è più giusto dire che è la presentazione di Dio misericordia e giustizia insieme, perché non ci può essere misericordia senza giustizia. Non è Dio a volere che uno si perda, siamo noi stessi capaci di determinare la nostra sorte futura.

E c’è questa frase: “tra noi e voi è stabilito un grande abisso”. Questo “grande abisso” non è di spazio, è quello che può essere scavato dal nostro orgoglio e dal nostro egoismo, e che separa da Dio. Questo abisso lo possiamo superare non nell’aldilà, ma quaggiù, se sappiamo ascoltare ora la parola di Gesù e credere che questo è il tempo dell’amore vero.

Facciamo nostra la preghiera presentata al Signore poco fa: 

O Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco; stabilisci con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all’orgia degli spensierati, e fa che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che Gesù Cristo è risorto e ci accoglierà nel tuo regno. Amen.

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