Mar 062021
 

Digiuno della parolaDigiuno televisivo – Digiuno consumistico

La Quaresima di questo 2021, secondo anno di covid, si presenta con un culto del tutto inedito. E’ una stagione teoricamente, di “penitenze” che si somma e si aggiunge a una “penitenza” forzata e obbligata che si esprime nelle forme più diverse: dalla riduzione dei rapporti fra le persone, all’estrema difficoltà di movimenti, alla rinuncia ai viaggi, interni ed esterni e così via, sullo sfondo, anche se a volte inespresso, rimane l’interrogativo: ma quella che viviamo non è già, e da tempo, una “Quaresima”?

In effetti, quella che in passato era una vera Quaresima, da tempo nei “Paesi dell’opulenza” come il nostro appare quasi del tutto dimenticata. In nazioni prevalentemente “interne”, come la Francia e la Germania, allorché era praticamente impossibile rifornire di pesce fresco vaste aree dei rispettivi Paesi, era inevitabile ricorrere _ per chi realmente praticasse il “digiuno” quaresimale – a modesti sostituti, come i formaggi o i pasticci di verdura: cibo abituale per la stragrande maggioranza dei fedeli, ma novità – talora sgradita – per le affollate corti di duchi e di baroni…. Per quasi tutti, se non proprio per tutti, una qualche sobrietà nel mangiare – se non proprio il digiuno vero e proprio – era non solo opportuna, ma inevitabile.

Che dire, invece, per il “digiuno” quaresimale del nostro tempo? Un venerdì trascorso in compagnia di una bella fetta di palombo o di una fresca trota di fiume può considerarsi “penitenza”? E dunque dove sono oggi il vero “digiuno” e la vera “astinenza”? E’ un interrogativo al quale la coscienza dei credenti dovrebbe cercare di rispondere recuperando, augurabilmente, il vero volto della “penitenza” quaresimale.

Forse non sono più necessari i veri e propri digiuni – oltretutto sconsigliati dai medici, in particolare per gli anziani – ma quegli atti, quei gesti, quegli stili che, assai meglio dei digiuni, dovrebbero caratterizzare la vita pratica dei credenti. Ne indicherò alcuni, già proposti e sperimentati da non pochi, e possibili a molti.

Digiuno della parola (meglio, del “chiacchiericcio”…) per tornare a un linguaggio semplice, sobrio, essenziale, che consenta anche nella vita sociale e soprattutto nella cerchia familiare momenti di riflessione e di concentrazione.

Digiuno televisivo, con la rinunzia alle non rare “scorpacciate mediatiche”, spesso insulse e inutili (e prestando invece attenzione alle “offerte” che provengono da reti attente e responsabili i cui programmi favoriscano la riflessione su se stessi e sul mondo).

Digiuno consumistico, per potersi concentrare sull’essere piuttosto che sull’avere e trasformando ciò che si esprime attraverso consumi spesso inutili, se non addirittura nocivi, in gesti di solidarietà e fraternità.

Si tratta, in sintesi, di abbandonare gli schemi di una “vecchia Quaresima”, incentrata quasi soltanto sull’astinenza-digiuno del venerdì in nome di una “nuova Quaresima”, tutta focalizzata sulla meditazione e la preghiera da una parte e sul servizio della carità dall’altra: in questa stagione di pandemia e di diffusa miseria, ampi sono gli spazi  per ‘esercizio concreto della solidarietà, anche nelle piccole cose: rivisitando e “aggiornando” le antiche pratiche dell’accoglienza, dell’aiuto e del soccorso.

Per certi aspetti la Quaresima che è appena iniziata può apparire pallida e sfuocata; ma, da un altro punto di vista, proprio nella stagione della pandemia i quaranta giorni che preparano la Pasqua possono rappresentare una felice occasione di servizio al prossimo e di riflessione personale sul senso di una vita che non può essere misurata soltanto con le cose da comprare (o alle quali occorre, obtorto collo, rinunciare), ma con l’assai più rigoroso metro dell’amore per Dio e per il prossimo.                               

da Avvenire di G. Campanin

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