Mar 132021
 

“Se Dio è il Dio della vita – e lo è -, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è -, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è, – a noi non è lecito odiare i fratelli”

Chi ha seguito anche solo da casa il pellegrinaggio del Papa in Iraq, ha avuto la netta sensazione di incamminarsi con lui sullo stretto sentiero della pace tra i popoli e le religioni, che i Pontefici del secolo scorso e di questo primo scorcio di terzo millennio hanno aperto e via via allargato, fino a renderlo una strada. Si pensi alla Pacem in terris di Giovanni XXIII, alla Populorum progressio di Paolo VI e alle parole profetiche di Giovanni Paolo II ai tempi della prima guerra del Golfo. “Avventura senza ritorno”, come poi per molti versi è stata effettivamente.

Senza dimenticare il viaggio in Libano di Benedetto XVI, che cancellò definitivamente l’errata interpretazione mediatica del discorso di Regensburg. A  queste pietre miliari Francesco ne ha aggiunte molte altre nel suo pontificato, a cominciare dalla preghiera per la Siria in piazza san Pietro (che egli stesso ha citato ieri sul volo di rientro da Baghdad), passando per la visita in Terra Santa e l’invocazione di pace nei giardini vaticani alla presenza di Abu Mazen, Shimon Peres e Bartolomeo I, per giungere alla Dichiarazione sulla fratellanza universale firmata ad Abu Dhabi con il grande imam di Al-Azhar Ahmad al-Tayyeb e, appunto, a questo viaggio. Che è stato come un laboratorio per costruirne altre, di pietre miliari, e continuare il percorso.

Tale appare, certamente, l’incontro con Ali al-Sistani, durante il quale il grande ayatollah degli sciiti – come ha confermato sempre il Pontefice ai giornalisti – per due volte, fatto senza precedenti, si è alzato in piedi in segno di rispetto per l’ospite. Un incontro nel quale lo stesso al-Sistani ha ribadito che gli uomini sono o fratelli per religione o uguali per creazione”. Ci sono poi la preghiera nella piana di Ur, patria di Abramo, dove i discendenti spirituali di Isacco e di Ismaele sono tornati ad incontrarsi dopo millenni di separazione, la visita a Mosul, città “altare” sul quale molte vite sono state immolate per la follia del Daesh e dove però è risuonato alto l’appello al perdono da parte del Pontefice, e infine, nelle Messe di Baghdad e di Erbil la paterna carezza di Francesco alla comunità cristiana che, pur fortemente ridimensionata nei numeri, proprio a causa di quella follia (da un milione e mezzo a poco più di 300mila persone), continua a dare testimonianza di attaccamento a Cristo e alla Chiesa e a ricordare al mondo – come del resto ha sottolineato anche il presidente iracheno Salih – che “l’Oriente non può essere immaginato senza cristiani”. Pietre miliari che si possono riassumere in una delle frasi simbolo di questo viaggio: “Se Dio è il Dio della vita – e lo è -, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è -, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è, – a noi non è lecito odiare i fratelli”. Eccole quindi quasi tutte qui le parole da incidere sulle pietre miliari del cammino futuro. Dio, innanzitutto. Un Dio da non bestemmiare mai più con la violenza in suo nome. E poi vita, pace (“tacciano le armi”, ha gridato di nuovo Francesco), amore, fratellanza. Alle quali va aggiunto il perdono, come già ricordato, e soprattutto la misericordia, nome che le tre grandi religioni monoteiste hanno in comune come appellativo sommo di Dio stesso.

Così, proprio nel segno del Dio misericordioso, questo viaggio segna anche l’incrocio delle coordinate guida del pontificato di Francesco, giunto ormai al compimento del suo ottavo anno. La misericordia come asse verticale che unisce il Cielo alla Terra e la Fratelli tutti come braccio orizzontale che racchiude nel suo orizzonte gli uomini e le donne del mondo intero. Non è un’illusione vedervi raffigurato il segno della Croce, che in fondo è anche il tracciato più autentico di quello stretto sentiero della pace che conduce dal dolore alla risurrezione e che il Papa e i suoi predecessori hanno allargato fino a farlo diventare una strada (e domani chissà anche un’autostrada). L’unica percorribile per un futuro davvero diverso della famiglia umana. A partire già da quel Libano che, come anticipato dal Pontefice, potrebbe essere la prossima tappa.                                                              

Da Avvenire di M. Muolo 

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