Apr 272020
 

ascensioneIl racconto di Emmaus: J. Guitton annotava: «se fosse necessario dare tutto il vangelo per una sola scena, in cui esso sia interamente riassunto, non esiterei a designare i discepoli di Emmaus» (Gesù, Marietti, Torino 1964, 301). Un racconto umano-divino, direi, poiché in esso si narra tutto l’umano con le sue emozioni e i suoi sentimenti, le sue ricerche e i suoi errori, delusioni e speranze, anche quelle fallite. Nei due che vanno per strada c’è, insomma, l’homo viator di sempre. Ma quei due, a dirla tutta, sono uomini in fuga dalla loro storia, in dimissione da tutto ciò che fino allora aveva dato senso alla propria vita. «Alcune donne, delle nostre – dicono – ci hanno sconvolti … sono venute a dirci di aver avuto una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Somigliano, i loro dubbi, a quelli dell’apostolo Tommaso. A questo punto, però, arriva Gesù. «Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato», dice un Salmo (Sl 34,19). Così il nostro racconto narra pure tutto il divino. «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra», aveva detto Gesù (Lc 12,49) ed ecco che le fiamme cominciano a ardere mentre son lette le Scritture e quanto più l’ignoto viandante le spiega, tanto più penetrano nel cuore di chi ascolta (cf. Ambrogio, De Isaac et anima VIII, 77: PL 14, 531). È vero: il Signore non si rivela a chi ha il cuore saturo di certezze; si accosta, invece, a chi ha il cuore inquieto, ma aperto a Lui che è alla porta e bussa (cf. Ap 3,20); che è in grado di raggiungerci perfino «nel cuore dei nostri errori e dei nostri dubbi, quando prendiamo delle scorciatoie o torniamo sui nostri passi. Perché la via è lui» (A. Louf).

Al vertice del racconto c’è lo spezzamento del pane. San Luca intinge il suo pennello nel racconto dell’ultima cena e con quei colori dipinge quanto si svolge nella locanda di Emmaus. Tutto questo racconto, in effetti, è l’icona dell’incontro che nell’Eucaristia ha la Chiesa col suo Signore. Qui, la loro, diventa nostra esperienza. Le nostre assemblee domenicali – che speriamo di potere tra non molto riprendere come privilegiate espressioni del volto della Chiesa – hanno il loro punto di partenza nell’iniziativa libera e gratuita del Signore che convoca i credenti intorno a sé. «Come ad Emmaus, il Signore scende sulla strada dell’uomo per farsi suo compagno di viaggio e animarlo di speranza per il suo cammino» (Cei, Doc. past. Eucaristia, comunione e comunità [1983], n. 36).

Si dà il fatto, però, che nei commenti patristici è messo in luce anche un altro aspetto di quel mistero ed è l’ospitalità. «Ospite», lo sappiamo, è sia chi giunge pellegrino e straniero, sia chi nella propria casa accoglie con amore il forestiero. Ora, se quando ci ritroviamo in assemblea eucaristica è il Signore che ci raduna, a Emmaus è proprio Lui l’estraneo, costretto a rimanere: «fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”». A questo punto sant’Agostino commenta: «Accogli l’ospite, se desideri riconoscere il Salvatore» (Serm. 235, 3: PL 38, 1119); alcuni antichi autori ne traevano l’insegnamento che il povero non basta invitarlo, ma bisogna quasi tirarlo (cf. In Ev. s. Lucae XXIII, PL 94, 428).

San Gregorio magno spiegava che il Signore non fu riconosciuto mentre parlava, ma si degnò di esserlo mentre fruiva dell’ospitalità. E narra questa storia: «Un padre di famiglia brillava con tutti i componenti della sua casa per il grande impegno nell’ospitalità. Accogliendo ogni giorno alla sua mensa dei pellegrini, una volta fece lo stesso con uno che si era presentato insieme ad altri. Come era abituale alla sua umiltà, il padre di famiglia si dispose a versare l’acqua sulle sue mani e per questo si voltò a prendere la brocca, ma ad un tratto non vide più l’ospite nelle cui mani si era proposto di versare l’acqua. Pieno di stupore nel suo intimo per quanto era accaduto, ricevette la notte stessa la visita del Signore, che gli disse: “Tutti gli altri giorni mi hai accolto nelle mie membra, ieri hai ospitato proprio me…”» (Homil. in Evang. II, 23, 2: PL 76, 1183). Nell’Eucaristia, Gesù non lo si può mai ricevere isolandolo. Quando si riceve il suo Corpo non si può mai dividere il Capo dalle sue membra. Ecco perché è comunione. Ed è anche missione

Resta con noi. Non dicono: «a casa nostra», ma con noi! Anche noi, come i due di Emmaus vogliamo dirgli: resta con noi, Signore, perché noi rimaniamo in te! Mane nobiscum, Domine! Preghiamo, allora, con le parole di sant’Anselmo il quale intreccia i significati, nella lingua latina, del termine mane che come verbo vuol dire «rimani» e come avverbio indica il sorgere del giorno e l’espandersi della luce: «Resta con noi Signore: rimani almeno sino al sorgere del sole perché possiamo godere della tua presenza e rallegrarci della tua risurrezione. Finisce il giorno e sta per arrivare la notte. Risplenda su di noi il tuo volto, il nostro sole, la nostra luce: Cristo Signore» (Oratio XII ad Deum: PL 158, 886-887; cf. Sl 80,4.8).

 

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