Dic 012018
 

NotteL’Avvento riducendolo a semplice anticamera del Natale, soprattutto con iniziative catechistiche di tenore natalizio già all’inizio di questo tempo, significa svilirne la portata, perdere un’occasione preziosa per risvegliare nelle comunità il gusto dell’attesa della salvezza, sempre nuova rispetto ad ogni pretesa umana.

Un rapido sguardo al repertorio dei testi. Gli inni, le antifone, i responsori e le orazioni di queste settimane, radicati nei discorsi apocalittici di Gesù della tradizione sinottica, esprimono una sorta di insoddisfazione per la situazione presente che può essere risanata soltanto dalla venuta del Figlio di Dio: “Accogli, o Padre, le preghiere della tua Chiesa e soccorrici nelle fatiche e nelle prove della vita; la venuta del Cristo tuo Figlio ci liberi dal male antico che è in noi e ci conforti con  la sua presenza”. C’è una situazione di fatica e di tribolazione, persino di vecchiezza contagiosa (contagiis vetustatis), che può essere superata soltanto da Colui che è sempre il Veniente, Colui che giunge a porre fine al vecchio per instaurare il nuovo fino a raccogliere il grano e a bruciare lo scarto con fuoco inestinguibile. E’ comprensibile, allora, come l’Avvento liturgico recepisca facilmente alcune istanze come l’attesa del nuovo, la necessità di vegliare e il desiderio insopprimibile della luce, che si attua concretamente nella testimonianza.

L’attesa del nuovo.

I riti ciclici che segano la conclusione di una fase, ne inaugurano una nuova, celebrano la fine di ciò che è stantio, vecchio e nocivo e proclamano l’avvio di un tempo di speranza e gravido di promesse. Tale disposizione all’attesa si rivela, ad esempio, nei riti popolari connessi al solstizio d’inverno e al cambio dell’anno, dove è facile riscontrare l’uso di “bruciare” ciò che è vecchio nel fuoco che consuma, purifica e rinnova, e la consuetudine dei doni che riappare proprio in Avvento quale segno di novità e di benificio sorprendente. Tuttavia, non si può sottacere che la nostra epoca sembra disattendere l’attesa nella preoccupazione generale di avere tutto e subito. L’atmosfera del sabato, condensata in modo insuperabile nella celebre poesia di Giacomo Leopardi, tipicamente vigiliare, carica di attesa, di preparazione e di quell’atteggiamento che la tradizione cristiana ha sintetizzato nell’espressione “già e non ancora”, sembra sfuggire alla cultura attuale, troppo piegata sul presente e non abituata alla profezia e alla paziente attesa di ciò che sarà. Anche i più piccoli sembrano non aspettare più i doni e pare non compiano più i rituali dell’attesa coma la letterina scritta a Gesù Bambino, a san Nicola o a santa Lucia, la curiosità fiduciosa che precede le notti nelle quali i santi dei regali arrivano sta scomparendo.

 

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