Set 292018
 

casa-accoglienzaApriamo il Vangelo e siamo immersi in un racconto di cammini, di strade, di sentieri. Ci sono deserti e città, campi, alberi, viti , fiume e lago e poi, soprattutto, le case. Per quaranta volte è riferita la presenza di Gesù in una casa, in racconti molto sobri, dove tuttavia è facile innamorarsi dei dettagli: il tetto, il pavimento, la soglia tra il dentro e il fuori, e la porta, che Gesù sceglie come auto definizione: io sono la porta. Sono il passaggio, la soglia per entrare in una dimora nuova, la strada per una meta sicura dove tutto è illuminato: “Io sono la porta, se uno entra attraverso di me, sarà salvato”; non troverà però un nido dove fermarsi ma sarà spinto a libertà: “entrerà e uscirà”, Gesù non inventa recinti, apre orizzonti, e una promessa di fame saziata: “e troverà pascolo”. Con le parole di un poeta guardiamo la triplice profezia di salvezza, di libertà e di pane inscritta nell’immagine della porta: “Amo le porte aperte, quelle che fanno entrare notti e tempeste, polline e spighe. Amo le porte aperte, reti squarciate, buchi nella pietra, nella seta, nella chiesa, che aprono su spazi da esplorare.

Amo le porte aperte dei testardi amanti, dei pericolosi visionari, di chi ha fatto voto di “vastità”, strade per tutti noi di un paradiso che è già qui. Amo le porte aperte di Dio” (Francesco Fiorillo).

Nella casa si entra varcando la soglia, quel piano di pietra o di legno che unisce, a livello del pavimento, gli stipiti di una porta. E che evoca, nella sua radice latina, la suola, là dove poggia il piede, che ha in sé la memoria di cento passi, dell’entrare e dell’uscire, luogo dove prende avvio e si conclude ogni viaggio. Come per gli abitanti di Cafarnao, in quella prima sera: “Tutta la città era riunita davanti alla porta” della casa (Mc 1,33). In attesa. Un orizzonte di attesa. Attesa di un varco per passare: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati” (Mc 1,32). Passare a vita. E’ sera, momento di soglia tra il giorno e la notte, tempo pieno di potenzialità, prima sera di una nuova creazione. Davanti alla porta di Simone e Andrea si è dato appuntamento il dolore della città. Non entrano in casa, come chi si impone; attendono fuori come chi feconda la sera di speranza. Ed è Gesù che si fa porta e soglia, esce verso di loro e li fa entrare nella salvezza. E’ l’esodo di Dio, il suo esodo perenne in cerca del dolore della terra che, assetato di stelle, è già partito in cerca del suo pozzo e l’ha trovato in una casa dove ha ripreso dimora la vita: dentro una donna è stata guarita, si è alzata e si è messa a servire; fuori, la speranza di vita si è aggrumata come le nubi e i lampi di un temporale. La casa è il luogo sicuro, guarito, ma Gesù ne esce ed entra nel non-luogo che è la strada,  si cala nel rischio, nella burrasca di quella marea d’umanità dolente. La casa è il luogo che ti avvolge di forze buone, ma Gesù esce là dove ci sono gli spiriti cattivi che hanno preso dimora nell’uomo. Lui ama le porte aperte, entra ed esce dalla casa come il sangue spinto dal cuore, sistole e diastole; il cuore è il centro che pulsa sui confini, che spinge il calore del sangue oltre la propria soglia, verso i margini del corpo, verso l’ultima periferia. Uomo-soglia, Gesù; come in questo testo poetico del Monastero di San Magno, a Fonti (LT). “Sogno di essere soglia / dove non c’è dentro e non c’è fuori. / dove la notte può passare / e il dolore non restare. / Sogno d’essere soglia / passaggio di piedi crocifissi, / affaticati o leggeri, / di piedi frettolosi, forse incerti oppure dubbiosi. / Sogno di essere soglia / di paradiso per i condannati, / di misericordia per gli scartati. / di pace per gli inquieti. / Sogno di essere soglia / dove arriva il polline dei disperati, / per far entrare clandestinamente / l’Adamo che viene dal mare, / per dare casa e coraggio / a chi naviga di notte”.

 

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