Lug 282018
 

donmarioalbertiniTu sazi la fame di ogni vivente. Chi prova fame sente un vuoto dentro, sconvolgente, che esige una risposta che possa saziare. L’uomo prova fame nel suo corpo e nel suo spirito: Gesù si propone come mandato da Dio a saziare soprattutto il desiderio di pienezza di vita che è in ogni animo.

Commento di don Mario Albertini

“La gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: Questi è davvero il profeta”. Quelli che noi chiamiamo miracoli, dall’evangelista Giovanni sono detti segni. Il segno è un invito a non fermarsi a ciò che appare agli occhi per cogliere invece una realtà più profonda, è un richiamo alla cosa significata, che è più importante del segno. Quella volta i presenti sono riusciti a cogliere solo in parte il significato del miracolo, e capiscono che Gesù era “il profeta”, ma questo era ancora poco, e non sono arrivati a un vero atto di fede in lui.

Noi possiamo andare più avanti di loro, e capire che la moltiplicazione dei pani era anche un segno dell’Eucaristia. Notiamo i gesti compiuti da Gesù in questa occasione: “Prese i pani, e dopo aver reso grazie li distribuì…”; sono i gesti che compirà nell’ultima cena. Se con questo miracolo il Signore sfama circa cinquemila persone, con l’Eucaristia è lui stesso a farsi cibo per il sostegno spirituale di una moltitudine innumerevole di fedeli.

Un aspetto che troviamo in tutti i miracoli, ma qui colpisce in modo più evidente, è la sproporzione tra i mezzi umani e lo scopo da raggiungere: con soltanto cinque pani e due pesci sfamare circa cinquemila persone.

Certo, la sproporzione è solo per noi, non per Colui che tutto può; ed è bello per noi aprirci alla onnipotenza misericordiosa di Dio ed affidarci ad essa. Dio ci viene incontro anche attraverso le piccole cose di ogni giorno. Tutto è piccolo, è un niente, se paragonato a Dio; ma se noi lo offriamo a lui e lui vuole servirsene come fece quella volta con i pani e i pesci, tutto acquista valore. Il racconto del miracolo si conclude con l’annotazione che alla fine furono raccolti dodici canestri di pane avanzato; può sembrare trattarsi soltanto di una sottolineatura della grandiosità del miracolo stesso, ma c’è qualche cosa di più: Gesù raccomandò che nulla andasse perduto. Di quel pane anche altri avrebbero potuto godere, cioè quella condivisione che era avvenuta tra i presenti poteva e doveva diventare una condivisione offerta ai lontani. Il condividere è una forma concreta e necessaria di carità fraterna, e ad essa si oppone lo spreco, un atto che forse compiamo senza dargli importanza ma che è un peccato, da evitare a favore di chi ha più bisogno.

Allora, com’è detto nella 2ª lettura. anche la nostra condivisione diventerà segno di quella “unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace” che sgorga dal fatto che c’è “un solo Spirito, un solo Signore, un solo Padre di tutti”.

 

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