Nov 052016
 

donmarioalbertiniL’affermazione di Gesù nel Vangelo, secondo la quale Dio non è un Dio dei morti ma dei vivi, non è fondata su argomentazioni scientifiche, ma sulla logica della fede: è la relazione con Dio che fonda la speranza che egli non ci abbandoni nella morte. Questa convinzione deve trasfigurare anche la nostra vita, rendendola sempre più vitale, più animata dallo Spirito del Dio vivente. La certezza che Dio ha il potere di rimetterci in piedi, di risuscitarci a vita nuova, ci viene proclamata anche nella prima lettura: ogni forma di morte, di cui possiamo fare esperienza nella quotidianità, può essere vinta nella fede sincera in Dio e nella speranza che egli può darci la forza per una speranza di senso e di pienezza oltre la paura del nulla. La stessa fede filtra dalle parole di Paolo, nella seconda lettura: il cristiano è convinto che non può arrivare da solo alla salvezza, essa è piuttosto dono di un Dio fedele verso chi a lui si affida. Non i nostri meriti, ma la grazia di Dio è la nostra garanzia

 

Strana questa disputa sulla donna che ha avuto sette mariti – anche se al giorno d’oggi succede che qualche diva del cinema li abbia proprio avuti, sei-sette mariti – o viceversa qualche attore sei-sette mogli – e certo non si pongono il problema dell’aldilà.

Ma la disputa parte da un interrogativo serio: cosa c’è oltre la morte?

Questo pensiero forse ci dà anche un po’ di fastidio, e siamo portati ad accantonarlo. Ma in un modo o nell’altro si ripresenta.

Se per es., vedendo come gli imbroglioni spesso prosperano, ci chiediamo: vale la pena di fare il bene? vale la pena di comportarsi con onestà? Oppure, ripensando anche ai nostri cari defunti: è possibile che le loro azioni buone, il loro comportamento onesto siano svaniti nel nulla? Ecco, queste domande corrispondono all’interrogativo che ho fatto prima: cosa c’è oltre la morte? perché se ci sarà un giudizio e una giustizia troviamo un argomento in più, e non secondario, per dire che vale la pena, sì, di fare il bene.

In un modo un po’ strano, lontano dal nostro modo di ragionare ma che in quel tempo pare fosse una discussione dibattuta, la domanda che viene posta a Gesù in sostanza è questa: se c’è una vita futura, come sarà?

Gesù non offre spazi all’immaginazione, non soddisfa la curiosità, né di quelli che l’interrogarono allora né la nostra; la fede non risponde a tutte le nostre domande, ma dà dei punti fermi, punti forti, capaci di dare fondamento alle scelte che facciamo e di orientare la vita pur lasciando sussistere il mistero. La fede dice, mediante le parole di Gesù, che siccome il nostro Dio è Dio dei vivi, – noi risorgeremo per la sua onnipotente bontà: “chi crede in me – dice Gesù – non morirà”. In altre parole: l’aldilà è vita, è pienezza, è dilatazione massima di tutto ciò che di bello, di grande, di buono si è vissuto su questa terra.

O meglio ancora: nell’aldilà troveremo tutto e solo quello che abbiamo saputo donare: cioè l’amore pieno. All’origine della nostra esistenza c’è l’amore gratuito di Dio,- al suo traguardo c’è il compimento di ogni vero amore umano nell’immensità dell’amore divino.

Queste, sono soltanto belle parole? No, proviamo a pensarci alla luce di quanto il Signore ci ha detto, e comprenderemo che il segreto dell’oltre morte lo si scopre nelle decisioni buone, nelle decisioni di bontà che sappiamo prendere, perché queste non possono andare perdute nel niente. Il mistero rimane, ma quanta luce in questa fede, che diventa forza di speranza, nell’attesa che Dio adempia la sua promessa di risurrezione.

Della pagina del vangelo dimentichiamo la disputa, ma ricordiamo la parola di Gesù: il nostro Dio è Dio dei vivi, per questo ci promette la vita per sempre.

Riprendiamo (adattandola) la preghiera detta all’inizio: Dio, Padre della vita e autore della risurrezione, davanti a te anche quelli che noi diciamo morti vivono. Fa’ che in vita e in morte siamo confortati dalla speranza della gioia in te assieme a tutti quelli cui abbiamo voluto bene. Sia proprio così.

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