Ott 152016
 

donmarioalbertiniLa parabola narrata nel Vangelo mostra quale caratteristica possa avere la preghiera cristiana: la perseveranza, che si fa espressione della fiducia. La convinzione che “Dio farà giustizia” può diventare il respiro della nostra vita quotidiana: nel senso che egli può guidarci a ciò che è giusto per noi, riempiendo di significato e di coraggio tutti i momenti e tutti i vissuti. Le braccia tese verso il Padre sono immagine del nostro atteggiamento filiale: così nella prima lettura è raffigurato Mosè, che intercede per il suo popolo con le braccia alzate verso Dio. In modo analogo, il contesto ecclesiale nel quale acquista pienezza di significato il pregare viene indicato nella seconda lettura, che esorta a restare saldi nella fede e nella testimonianza, nutrite dalla conoscenza di Cristo.

Il brano del vangelo rimane in sospeso, con un interrogativo che aspetta una risposta: “quando il Figlio dell’uomo (che è Gesù stesso, giudice alla fine dei tempi) verrà, troverà ancora fede sulla terra?”.

L’interrogativo non è retorico o di pura curiosità, ma è chiaramente provocatorio, e potremmo riformularlo così: se Gesù venisse ora, troverebbe fede? – e più concretamente ancora: troverebbe fede in me?

E allora comprendiamo che ben a ragione Gesù ha lasciato in sospeso, senza risposta, la sua domanda – perché la risposta la dobbiamo dare noi, ognuno di noi, per noi stessi.

Ma cosa intende per fede, il Signore? Una cosa semplice e meravigliosa: aver fede, credere, significa riconoscere che Dio mi vuole bene, e che tutto quello che ha compiuto è per il mio bene. Aver fede significa allora avere la massima fiducia in Dio. E per questa fiducia accetto tutto quello che mi ha fatto conoscere mediante la Parola rivelata. Quando faccio la professione di fede, come tra poco, devo partire dalla convinzione che quelle verità che stiamo per affermare non sono altro che doni del suo amore. Sì, l’interrogativo di Gesù ci riguarda; mi riguarda, e mi invita a rinnovare la mia fede.

Abbiamo ascoltato anche la breve parabola della donna che con instancabile insistenza chiede giustizia. L’evangelista dice che Gesù la espose per insegnare “la necessità di pregare sempre, senza stancarsi”.

Non si tratta di una preghiera fatta di formule imparate a memoria, ma di quella che sant’Agostino chiama “un desiderio ininterrotto” – preghiera che si fa forte della stessa pazienza di Dio. Capaci di dare a Dio un po’ del nostro tempo non soltanto per ottenere qualcosa ma perché Dio è buono, è amore.

Certo la preghiera non ha regole eguali per tutti. Il suo deve essere il linguaggio dell’amore, che è libertà, relazione di persone libere, un vero dialogo tra noi e Dio, fatto di parole e di silenzio. L’importante è che con Dio sappiamo dialogare. Qualche volta anche discutere.

Ma torniamo a quell’interrogativo che, oltre ad essere una provocazione personale, ci porta a pensare alla situazione di oggi: c’è fede, oggi, tra gli uomini?

Forse poca, anche dalle nostre parti. Tuttavia, in questa giornata siamo invitati a dare uno sguardo in particolare a quei paesi e a quei popoli dove la Parola di Dio non è stata ancora annunciata. E’ infatti la giornata missionaria – che ci chiede di pregare e di dare un aiuto concreto ai tanti missionari, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche, che si dedicano a questo compito di evangelizzazione, con una generosità che può giungere al martirio: anche negli ultimi anni ci sono stati missionari uccisi per la fede o, proprio in queste ultime settimane, sequestrati.

Se veramente crediamo che Dio ci vuole bene, sentiremo pure il desiderio che questo amore sia annunciato a tutti, che il Vangelo sia fatto conoscere a tutti. A questo scopo, la nostra preghiera e il nostro aiuto.

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