Ott 012016
 

donmarioalbertiniRiscoprirci ogni giorno come servi inutili, secondo l’esortazione del Vangelo di oggi, è la condizione per vivere autenticamente la propria fede, riconoscendo che la salvezza non è una nostra conquista, ma solo grazia di Dio. La fede vera richiede dunque l’umiltà del cuore, la rinuncia all’orgoglio dell’autosufficienza, un rischio con cui i cristiani devono oggi sempre fare i conti. Credere è affidarsi a Dio. Lo vediamo nella prima lettura: Dio sembra assente dalla storia, soprattutto quando ci troviamo di fronte al dilagare dell’oppressione e dell’ingiustizia. E tuttavia per il credente è proprio la sua fiducia in Dio che può diventare via e criterio per comprendere l’enigma della storia umana. Nel combattimento della fede, così ascoltiamo nella seconda lettura, non siamo soli: Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Occorre perciò ravvivare sempre il dono di Dio che è in noi.

Ma siamo proprio inutili? No, Dio ha bisogno di noi, ha voluto aver bisogno di noi affidandoci il compito di gestire bene e con responsabilità le nostre attività e i rapporti vicendevoli. Servi inutili: la frase suona dura, ma esprime questo dato di fatto: di fronte a Dio non abbiamo diritti da rivendicare, perché tutto proviene dalla sua bontà, anche quel poco di bene che riusciamo a fare. In parole povere: non devo dire: sono stato bravo e buono, quindi tu, o Dio, mi devi ricompensare – ma dire: mi impegno a essere bravo e buono perché tu mi vuoi bene, e desidero che tu mi voglia sempre bene….

Quindi metterci non sul piano della rivendicazione di diritti, ma in quello della gratuità, che è il piano dell’amore e della fiducia.

E allora sì possiamo anche avere lo stesso atteggiamento del profeta nella prima lettura, e chiedere come lui: Signore, fino a quando?… Tu, o Dio, non intervieni contro le ingiustizie, la violenza, la cattiveria… Ma allora, Dio, tu sei un protagonista della storia, o sei un semplice e indifferente spettatore?

Questa è la sofferta domanda del profeta, ma di fronte alle ingiustizie, alle violenze, alle iniquità, che hanno la meglio sulla giustizia e l’onestà, questo interrogativo lo possiamo, lo dobbiamo porre anche noi: perché, Signore? fino a quando?

Sì, è giusto chiedere a Dio perché? Però questo interrogativo va posto al Signore non come un atto di accusa, bensì come un naturale desiderio di sapere e capire., La sua risposta è quella ascoltata sempre nella prima lettura: “Il Signore risponde: ci sarà un termine”, ci sarà una scadenza per il suo intervento, e il suo giudizio, e allora sarà il momento della giustizia. Da parte tua, ci dice il Signore, “attendi, perché certamente io verrò”. Quindi, proprio perché fiduciosi nella venuta e nella presenza di Dio ci impegniamo noi nell’eliminare le ingiustizie e le violenze nostre e attorno a noi, perché questo compito è nostro, non di Dio. E’ così che non saremo servi inutili.

E come gli Apostoli, preghiamo pure noi: Signore, accresci in noi la fede. Quella fede che non dice a Dio di fare quello che vorremmo noi, ma dà a noi la capacità di fare quello che lui vuole, cioè il bene.

Il vero miracolo che si ottiene con un granellino di fede non è lo spostamento di un albero dalla terra ferma al mare, bensì la trasformazione della nostra vita; il vero miracolo che la fede ci ottiene è diventare capaci di dire di sì a Dio che è Padre di infinita bontà, dirgli di sì anche se si nasconde, sembra assente, tarda a venire – e dire di sì alla vita che è dono suo.

Il servizio di cui si parla nella breve parabola del vangelo è proprio la nostra vita, da vivere secondo Dio.

Sì, anche noi, come il profeta, possiamo porre i nostri perché? a Dio, ma nello stesso tempo dobbiamo pregare con umiltà: Signore, accresci in noi la fede, così che sappiamo vivere da persone giuste, cioè da figli tuoi, in questo mondo in cui c’è tanta cattiveria; ma in cui c’è anche il tuo amore e il tuo aiuto, Signore. E per favore, mio Dio, dammi un granellino di fede.

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