Ago 202022
 

Ma: se due uomini forti fossero intervenuti a fermare quella folle gragnuola di bastonate e di botte, Alika Ogorchukwu, ambulante nigeriano, non si sarebbe potuto salvare? E non c’erano, due uomini forti almeno, a Civitanova Marche, venerdì pomeriggio, in una via affollata del centro? E quelli che riprendevano la scena con lo smartphone da debita distanza, con lo zoom, chi sono, e come hanno potuto restarsene a guardare, per poi condividere sui social il video del massacro di un uomo?

Domande che in molti ci stiamo facendo, attoniti, proprio davanti a quei video sul web: un uomo cieco di rabbia che si scatena contro un altro, strappandogli la stampella che quello usa per camminare. E poi, quando il poveretto è a terra, l’aggressore gli schiaccia il torace con tutto il peso del suo massiccio corpo, fino a levargli il respiro. La Polizia arriva ma è tardi, l’uomo a terra è morto. Particolare non indifferente: è un nero. Un nero. Chi passava avrà pensato magari a un regolamento di conti fra spacciatori o disgraziati, meglio non mettersi in mezzo. Se fosse stato bianco, vestito come noi, lo sconosciuto, qualcuno non gli avrebbe dato una mano? Un nero. Chissà che non avesse rubato, o rapinato. Stiamo a vedere come va, facciamo un video. ‘Ehi, ma così lo ammazzi!’ grida qualcuno dal ‘pubblico’ a un certo punto.

Infatti: Alika Ogorchukwu, 39 anni, sposato e padre di un bambino di 8 anni, è stato ammazzato. Di botte, davanti a tutti, in un’affollata strada di una città italiana. Era qui da anni, pacifico, incensurato, vendeva accendini ai passanti. A volte chiedeva qualche spicciolo. Proprio per la sua insistenza, pare, l’assassino, un italiano di 32 anni, operaio, si è infuriato. Resti senza parole. E però, fra te, ancora domande: e tu, cosa avresti fatto? Una donna non giovane poteva fare poco: almeno però cercare di scuotere i passanti a intervenire, in tanti. (Ma se fosse stato tuo figlio, sotto a quelle botte, ti saresti gettata in mezzo a costo di farti ammazzare, come qualsiasi madre o padre).

Il fatto è che quel nero non era, a Civitanova l’altro giorno, figlio di nessuno, né amico, e forse nemmeno totalmente ‘uomo’ come noi. Non un fratello, come – parlando cristiano – ogni sconosciuto dovrebbe essere nel momento del bisogno.

In quei video le immagini sono ben ferme: a chi riprendeva, non tremavano nemmeno le mani. Ti sembra che tremi invece a te la terra un poco sotto i piedi, la terra di questa Italia che credi di conoscere. Succedono delle cose che ti sbalordiscono, e a distanza ravvicinata.

Quella madre che ha abbandonato la figlia di 18 mesi sola per sei giorni, è una storia che non hai mai sentito, in quarant’ anni da cronista. Sarà pazza, certo, ti dici, perché una cosa simile è inumana. Però nelle prime ore almeno, nel caldo torrido, senz’acqua, affamata, la bambina avrà pure pianto. Nessuno, proprio nessuno ha sentito nulla? O forse, se qualcuno nella notte silenziosa ha avvertito un lamento, si è detto magari: sarà un gatto, e si è riaddormentato.

Civitanova e Ponte Lambro a Milano, tragedie ben diverse, hanno qualcosa in comune, come un convitato di pietra: un non vedere, non sentire, non farsi carico della vita di un altro. Eppure, l’Italia in cui sei cresciuta non era così. Avverti in certe cronache come i segni di una mutazione. Sembriamo, in certi giorni bui, un Paese in cui non si è fratelli, come ci avevano insegnato, ma figli rigorosamente unici, educati a farsi i fatti propri. Gente onesta, intendiamoci: pagano le tasse e fanno con rigore la raccolta differenziata dei rifiuti. Per le scale salutano educati, ma non fanno caso se un vecchio vicino non si vede da tanto. Dietro porte chiuse oppure in strade piene di gente si consumano solitudini assolute. Nessuno sente, nessuno vede. (Guardare è ben diverso da vedere. Si guarda qualcosa e poi, solo stando attenti, si vede, si riconosce un dolore).

Fanno un video, si compiacciono del numero delle condivisioni. Le immagini non tremano. Ma tu, nei sei certa, ricordi un altro Paese. Non c’era quel convitato di pietra seduto fra noi. Quasi come se qualcosa, sotto, dentro, nel Dna comune nostro, si fosse snaturato.

Di  M.Corradi da Avvenire del 31 luglio 2022

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