Nov 142020
 

Portare frutto nel tempo dell’attesa. Vivere la fede significa assumersi la responsabilità di una chiamata, un «talento» che ci è affidato affinché porti frutto. Nel tempo dell’attesa il credente è invitato a l’operosità vigilante, così che, al ritorno del padrone, possa prendere parte alla gioia della salvezza.

Commento di don Mario Albertini

  Nella parabola dei talenti, immagino che anche per voi, come per me, ad attirare l’attenzione sia il terzo servo, che non ha fatto fruttificare il talento ricevuto. Cosa ha compiuto di male, dove ha sbagliato per sentirsi condannare come malvagio e pigro? La chiave sta nelle parole che lui rivolge al padrone: tu sei duro ed esigente, e metti paura. Non si è dato da fare perché il suo rapporto con il padrone era di non-fiducia, di paura.

   La questione anche per noi è: com’è il mio rapporto con Dio? Se Dio lo penso come giudice severo e come padrone esigente, mi verrà da dire: non ce la faccio a comportarmi come vuole lui, e tiro avanti alla meno peggio, accontentandomi di non fare grossi malanni… 

   Ma Gesù ci ha rivelato che Dio è Padre, e quindi si aspetta da noi un rapporto di fiducia e di amore. Fiducia in lui, e – cosa forse più difficile – fiducia anche in noi stessi perché lui ci ha resi capaci di fare qualcosa di buono per lui.

   E’ bello capire che il Signore ha fiducia in noi e ci affida dei talenti da amministrare. E’ esigente, sì, ma non duro.

   Cosa s’intende per talenti? Ai tempi di Gesù erano monete di grandissimo valore, un capitale. Per quanto riguarda noi, sono i doni, le doti che abbiamo ricevuto da Dio e che possiamo mettere a servizio suo e del prossimo. E il talento più importante che ci ha dato è il dono della vita con tutte le sue risorse, e con essa il dono del suo amore. E’ questo capitale che devo investire, senza scoraggiarmi mai.

   Perché Dio gode della nostra semplice ma operativa bontà se, giorno dopo giorno, compiamo i nostri umili doveri con spirito di amore.

   Certo, saremo chiamati a rendere conto della nostra vita, ma sappiamo che alla nostra risposta attiva corrisponderà la partecipazione alla immensa, indicibile, piena gioia di Dio.

   Da Lui ci sentiremo dire: Vieni a godere della mia stessa gioia. Perché Dio desidera rallegrarsi con chi gli è fedele, e ci vuole partecipi della sua gioia. L’aspetto esaltante della rivelazione di Gesù è che Dio in ricompensa o in premio non ci dà qualche cosa, ma ci comunica se stesso: “prendi parte alla gioia del tuo padrone”, è detto nella parabola. Con questa certezza diventa facile vivere la fedeltà, la vigilanza, l’impegno…

   Di sicuro nella nostra vita abbiamo incontrato persone che hanno saputo vivere così, persone che hanno fatto fruttificare i loro talenti anche a nostro vantaggio, senza far tanto rumore, nella semplicità, nella serenità, nel dono ai fratelli. Perché non le prendiamo ad esempio, nella speranza – come abbiamo detto nella preghiera iniziale – “nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e così entrare pure noi nella gioia del regno di Dio”?

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