Ott 032020
 

Riportiamo di seguito alcuni stralci della riflessione di Don  Armando Matteo, teologo presso la Pontificia Università Urbaniana

La sfida

Noi cristiani siamo così abituati al lessico della fraternità – si pensi solo a quante volte, durante la liturgia, risuona la locuzione: “Fratelli e sorelle” – che parlare di missione oggi in termini di “tessitori di fraternità” sembra qualcosa di estremamente semplice, se non banale. Certamente l’inclinazione alla fraternità è qualcosa che come umani ci portiamo dentro. Noi siamo “animali fatti di relazione e di relazioni”, come si sa bene sin dai tempi di Aristotele.

Tuttavia, se c’è una cosa che vale per ogni aspetto della nostra umanità, è il dato per il quale in essa non vi sono automatismi di nessun tipo. Anche un’inclinazione così profonda, come quella verso l’altro, verso il prossimo, richiede sempre un atto di volontà, una decisione, un passo da compiere in libertà. Ed ecco allora il punto: cosa succede al tempo della fraternità, quando le parole che sentiamo in mezzo al nostro quotidiano non riecheggiano quasi per nulla e quelle liturgiche di “Fratelli e Sorelle”, quando scompare il bisogno dell’altro, quando cioè le condizioni economiche, sociali, culturali, di sviluppo sono tali da affrancare la maggior parte delle persone dalle situazioni di povertà, di indigenza, di fame, di  esposizione a malattie incurabili così frequenti anche nelle parti ora ricche del mondo sino a poco tempo fa? In una parola: cosa succede alla questione della fraternità quando il denaro, la tecnologia, l’espansione e la promozione dell’esistenza di ciascun soggetto prendono il sopravvento?

Accade che essa diventi un compito, un impegno: una missione. Di più, secondo una possibile lettura di Evangelii gaudium, la fraternità diventa la missione specifica della comunità ecclesiale per questo tempo ed in questo tempo.

La mistica della comunità

Di per sé, tale espressione non si trova nel documento “Evangelii gaudium” ma deriva da un’approfondita meditazione di alcuni numeri di esso. In particolare, al numero 87 possiamo leggere: “Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppo inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza! Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene.

Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo”.

Urge, dice papa Francesco, un salto, un passo non calcolato, una caparra di fiducia, un’intuizione anticipatrice, una visione da lontano, una prospettiva non meramente calcolante: un atteggiamento mistico.

Il compito che qui papa Francesco assegna alla sua Chiesa è quello di una testimonianza possibile della comunità. Abbiamo bisogno che le parrocchie, le associazioni, i movimenti riscoprano la loro sorgiva vocazione ad essere luogo dell’accoglienza, luogo dello scambio, luogo della parola e non più stazioni di servizio del sacro, ma spazi autentici di comunione, di condivisione, di partecipazione, di comunicazione, di ospitalità reciproca, nel segno dell’amore e del riconoscimento della pari dignità di ognuno e di ognuna. In questo può ancora una volta rendersi presente il Signore Gesù.

Ecco la sfida che si pone, allora, all’azione evangelizzatrice della Chiesa: credere di più nella comunità; credere che sul serio, “quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore” (Evangelii Gaudium, 272).

Se il compito dei cristiani è quello di diffondere quella gioia del Vangelo che sempre nasce e rinasce nell’incontro con Gesù e se il principale ostacolo all’accoglienza di questa gioia è l’individualismo diffuso e triste che oggi domina, allora la missione dei cristiani deve partire da quella di diventare sempre di più tessitori di fraternità.

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