Set 192020
 

Qualche anno fa un noto allenatore di calcio, dopo aver incassato i complimenti per aver rilanciato una squadra in crisi, si schermì sostenendo: “Ho solo rimesso la chiesa al centro del paese”. Il che, tradotto dalla metafora, voleva dire: “Ho riportato le cose alla loro normalità”. Da sempre, dunque, nell’immaginario collettivo la chiesa, intesa soprattutto come parrocchia, sta in mezzo alle case degli uomini (come del resto è nell’etimologia stessa della parola), al punto da diventare proverbiale persino in mondi anche parecchio distanti dalla pratica religiosa. L’immagine di una centralità tradizionale è in molte sue definizioni, la più celebre delle quali appartiene a san Giovanni XXIII, che ne parlava come “fontana del villaggio”, capace cioè di distribuire gratuitamente l’acqua a chiunque le si avvicini.                    

Ma la storia va avanti, i tempi cambiano. E oggi nel nostro villaggio globale le “fontane” si sono moltiplicate. Non tutte distribuiscono la buona acqua di fonte evangelica, anzi alcune la attingono da pozzi decisamente inquinati e a loro volta inquinanti. Così che occorre ripensare anche la funzione della “fontana” autentica e primigenia, la parrocchia appunto, in un contesto profondamente mutato. E’ proprio lo scopo che si prefigge l’istruzione redatta dalla Congregazione per il Clero e pubblicata ieri, con un titolo che dice già molto della “filosofia” cui si ispira: “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”.

E’ evidente fin da queste parole che l’accento va posto sul modello di Chiesa in uscita indicato da papa Francesco, e al quale anche la parrocchia non può restare insensibile. L’inversione del dinamismo ecclesiale è lampante. Se infatti l’immagine della fontana del villaggio suggeriva l’idea di una salda e rassicurante staticità centripeta (chi voleva l’acqua doveva recarvisi, sicuro di dissetarsi), la società liquida del terzo millennio richiede invece un approccio fortemente missionario. Un andare, invece che un aspettare, un annuncio che non si serva solo del pulpito, ma che sappia trasformare in pulpito ogni marciapiede e ogni strada, a partire da quelli delle grandi periferie urbane, come del resto il documento suggerisce apertamente. Certo, alcuni aspetti come i compiti attribuiti ai laici in condizioni straordinarie o lo stop al tariffario per le messe, possono giustamente attrarre interesse. Ma il messaggio vero dell’istruzione è nel suo nucleo missionario.

La parrocchia del nostro tempo, dunque, più che fontana deve diventare acquedotto che arrivi in ogni casa e attraverso i cui rubinetti scorra quella cultura dell’incontro con Dio che è premessa dell’incontro vero, profondo e fecondo con i fratelli, anche e soprattutto quelli più lontani e più poveri. In molti casi questa conversione pastorale è già in atto. Ad esempio, nei quartieri di nuova espansione, dove comunità parrocchiali molto attive offrono soprattutto ai giovani l’alternativa della vita buona del Vangelo rispetto al pericolo sempre incombente delle devianze sociali e dell’arruolamento malavitoso. Ma bisogna fare il passo generale e definitivo. Affinché la parrocchia non sia più solo un edificio di mattoni al centro del paese, ma una sorgente di acqua viva al centro di ogni comunità.                  Da Avvenire di M.

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