Giu 292019
 

papa-francesco-731x1024Uscito qualche tempo fa Chi sono io, Francesco? è l’ultimo volume del giornalista e attivista per la pace e la nonviolenza Raniero La ValleLa Valle raccontò per i suoi lettori il Concilio Vaticano II, spiegando quanto stava accadendo anche ai vescovi che non conoscevano il latino. La passione per il narrare gli eventi di Chiesa non l’ha abbandonato nemmeno oggi, a 84 anni. In questo suo ultimo lavoro, infatti, racconta con dovizia di particolari la novità del pontificato di papa Francesco. Una novità sintetizzabile in una parola chiave: Misericordia. A partire dal motto scelto: miserando atque eligendo (lo guardò con amore e lo scelse), nel quale “Bergoglio ha voluto compendiare il senso della sua vita”. Una vita accarezzata dalla misericordia di Dio al punto tale da avvertire che è proprio il “fare rivelazione della misericordia di Dio” il senso della sua stessa presenza sul soglio di Pietro. 

Il libro si snoda tutto tra due domande di fondo: “Chi sono io, Francesco?” e “Ce la farà papa Francesco?”. La risposta al primo quesito (che riecheggia la domanda di Pietro, negli Atti degli Apostoli: “Chi ero io per porre impedimento a Dio?”, At 11,17) si può rinvenire in una passaggio dell’omelia pronunciata durante la messa mattutina a Santa Marta il 12 maggio 2014: “Chi siamo noi per chiudere le porte? (…) nella Chiesa c’è sempre stato il ‘ministero dell’ostiario’, che è colui che apre la porta, riceve la gente e la fa passare, ma mai c’è stato il ministero di quello che chiude la porta, mai!”. Mentre la risposta alla domanda finale, scrive ancora l’autore, “è che il Papa in un certo modo già ce l’ha fatta: perché ci sono delle cose che una volta compiute non vengono mai meno, ci sono delle dracme, dei tesori nascosti, che una volta trovati non si perdono più. Non solo il male, anche il bene, se rompe un tabù, poi può sempre ripetersi. E di tabù Francesco ne ha rotto più d’uno e dopo le cose non possono essere più come prima”. Il Francesco che emerge dal libro, dunque, è quello che ha saputo avviare una profonda trasformazione nel mondo della Chiesa, ma anche nel mondo tout-court  visto che da quanto c’è lui i confini tra Chiesa e mondo si sono assottigliati.

Un Papa che ha spiazzato molti, sin dal suo primo apparire, il 13 marzo 2013, al balcone del palazzo Apostolico, quando si inchinò dinanzi alla gente assiepata in piazza San Pietro per chiederne la benedizione. O quando, nella stessa occasione, si definì “Vescovo di Roma”, aprendo prospettive nuove nella visione di Chiesa e nel rapporto tra le Chiese.

Ma anche per il fatto di essere il primo Papa gesuita, apportatore pertanto di una fiduciosa visione dell’essere umano e della sua responsabilità circa il proprio destino. O, ancora, per il fatto di provenire “dall’altra parte del mondo”, da un’America Latina nella quale la teologia è teologia del popolo, e in cui l’opzione preferenziale per i poveri è una realtà, non un proclama.

Che fosse già tutto scritto in quel nome, Francesco, scelto da Bergoglio? Un nome che rimanda a tabù infranti e a nuove primavere dello spirito. Un nome che, ottocento anni fa, in un momento buio per la Chiesa e per il mondo, aprì orizzonti di attesa. “La cosa più bella – conclude La Valle – è proprio questa: che possiamo tornare ad attendere. Ad un’Europa stanca e senile, a un mondo che, sacrificato al denaro globale, non si aspetta più niente, papa Francesco ha restituito l’attesa”.

 

Sorry, the comment form is closed at this time.