Nov 252017
 
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Tu ci guidi, Signore, alla vita. Il giudizio che ci attende dà serietà anche alla vita di fede: non è un giudizio che incute paura, ma è certo che saremo giudicati sull’amore.

Commento di don Mario Albertini

Nella festa che celebra la regalità di Gesù Cristo, presentarcelo come l’affamato, il malato, il forestiero, insomma come un misero bisognoso del nostro soccorso, sembra una contraddizione. Perché è così che Gesù parla di sé nella pagina del Vangelo di oggi. Dal trono della sua gloria dice: “Ho avuto fame e sete, ero nudo, ero carcerato…”.

Ma il Vangelo dice anche: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria”.

Dunque: un re in incognito durante l’evolversi della storia umana, un re glorioso e giudice di tutte le genti alla fine dei tempi, quando il regno di Dio si manifesterà nel suo splendore.

Ebbene: perché in quel giorno ci sentiamo chiamare tra i “benedetti del Padre”, occorre che oggi sappiamo individuare il re che si presenta in incognito, e riconoscerlo precisamente nel bisognoso. Egli infatti si identifica con quanti oggettivamente necessitano di soccorso, e vive tutta la debolezza della condizione umana: fame, nudità, malattia, carcere. Sì, anche il carcere: non è stato imprigionato pure lui?

Con questo insegnamento, esposto alla fine del suo ministero, Gesù ripropone il programma presentato all’inizio, quello delle beatitudini: come allora, anche adesso capovolge la scala dei valori convenzionali, e dice che è meglio essere povero che sfruttatore, è meglio essere mite che violento, perseguitato che persecutore… Non si può dire che la società oggi sia su questa lunghezza d’onda. Ma e noi? io?

“Allora il re dirà: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi… Poi dirà: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno…”. Quello è il momento del giudizio, e della sentenza definitiva. Quello sarà il giorno della verità.

Tuttavia questa pagina del vangelo non è per mettere paura, bensì per indicare la via che porta al Signore. Sapere che è Cristo a giudicare, è motivo di speranza, perché egli, che ha portato e sofferto i nostri stessi dolori e le nostre angosce, non può che essere misericordioso. Ci è d’aiuto poi il fatto che conosciamo in anticipo la materia dell’esame finale: questa materia è la carità fraterna.

Oggi dunque celebriamo la regalità di Cristo. Il suo regno rimane un mistero, ma alla luce della parola di Dio noi sappiamo che in esso saranno vere e totali la fraternità, la libertà, la gioia, la comunione, la vita. Questi sono i valori del regno, cui fa riferimento anche la preghiera del prefazio di questa Messa; questo significa che

ogni volta che noi cerchiamo di vivere e rendere concreti questi valori di fraternità e di giustizia, noi diamo un contributo alla crescita del Regno pure su questa terra.

Anche le piccole cose del nostro quotidiano possono avere un valore grande, e sarà proprio per queste piccole cose che ci sentiremo dire: venite, benedetti del Padre mio, entrate nel mio regno.

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