Nov 102017
 

papa-francesco-731x1024Il 20 giugno papa Francesco ha posto un mazzo di fiori sulla tomba di don Lorenzo Milani a Barbiana (FI) e un altro sulla tomba di don Primo Mazzolari, a Bozzolo (MN) (1890-1959). Quei due preti, ritenuti in vita “ribelli”, oggi li sentiamo “profetici”. Si avvera così (e lo dico con tristezza, anche per esperienza personale) quello che diceva, a voce bassa, padre Sergio Faè, mio professore di Storia, negli anni di teologia: “Spesso la Chiesa è alleata oggi con i suoi nemici di ieri e combatte, ora, quelli che saranno i suoi alleati di domani!”. E’ una constatazione amara, eppure è vera. Perché il tempo sa guardare con occhi diversi.

Ma occorre sempre qualcuno che trovi la chiave ed entri nei meandri della storia Nel caso di don Milani quel qualcuno ha fatto entrare nel cuore del Papa un libro dimenticato, Esperienze pastorali, scritto da don Lorenzo nel 1958 e subito condannato dal Santo Ufficio. Nella lettera acclusa, si chiedeva a papa Francesco di leggere con occhi nuovi quelle pagine condannate. Oggi ancora più attuali. Il Priore di Barbiana, infatti, guardava al mondo con gli occhi di chi era rimasto in piazza. O nelle stalle a spalare letame. E non nelle comode aule di un liceo fiorentino. Da qui, un solenne proposito: aprire la sua canonica a quelli che a scuola non potevano andare. Innanzitutto perché imparassero a parlare, per non venire discriminati. Poi perché imparassero tante lingue, perché il mondo è grande. Contestato e ammirato nello stesso tempo, don Milani aveva parole di fuoco per chi non manifestava amore per “i suoi ragazzi”, cioè per i poveri. Scriveva: “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono, perché scriva per loro un metodo. (…) Sbagliano la domanda, poiché non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna “fare” per fare scuola ma solo di come bisogna “essere” per poter fare scuola!”. Questo era don Lorenzo! Il suo libretto Lettera a una professoressa mi è rimasto dentro. Se oggi sono prete, molto lo devo anche a lui. Senza peli sulla lingua. “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri – diceva con sorprendete attualità -, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. Rimasi commosso quando, in un momento particolare della mia vita, vidi scritto sulle pareti di Barbiana: I care. Cioè, “Tu mi stai a cuore” Per questo vorrei essere lì, accanto al Papa che depone quel mazzo di fiori. E’come se lo facesse sulle piazze di tanti nostri piccoli borghi dimenticati. Oggi, anch’essi periferie, come Barbiana. Ma proprio per questo, capaci di ridisegnare la Storia. Grande prete anche don Primo Mazzolari, una fede maturata nella sofferenza. Torna deluso e sconfitto dalla prima guerra mondiale, a cui aveva partecipato come cappellano. Ecco, allora, il suo impegno tenacissimo per la pace. Il suo è stato un saper scrivere e parlare con cuore innamorato di Dio e della gente. “Ci impegniamo, non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo; per amare anche quello che non è amabile (…) poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore c’è, insieme a una grande sete d’amore, il volto e il cuore dell’amore”. Con questo spirito scriveva sulla rivista “Adesso”, decisiva per i cristiani negli anni Cinquanta e i cui articoli vennero più volte purgati dalla gerarchia ecclesiastica. Ha visto lontano don Primo, si è seduto accanto a chi sbaglia. Così raccolgo la sua eredità e la faccio mia: “Il cristianesimo è l’inquietudine più grande, la più intensa. Ove un cristiano è nato, c’è dell’inquietudine”. Sarà bello esserci tutti su quelle tombe, per deporre un fiore che sarà riparazione. E soprattutto gratitudine.

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