Ott 052014
 

volto-di-Gesù

LA  PERSONA  AL  CENTRO  DELL’AGIRE  ECCLESIALE

Il «nuovo umanesimo» di Firenze ha le sue radici prima di tutto nei nostri cuori, nell’esperienza contagiosa di Gesù Cristo che riusciamo a vivere insieme.  (Traccia, pag. 5)

Il Verbo fatto uomo è la meraviglia sempre nuova di Dio.

In quest’orizzonte Dio raggiunge il suo massimo in Gesù di Nazareth. Egli che è già tutto, non ha altra via per superarsi se non quella di procedere senza termine in direzione dell’uomo, scegliendo di diminuire: se è già l’Altissimo, allora si abbassa sino a terra; se è già il Signore, allora entra nella condizione del servo; se è già pienezza, allora si svuota di Sé, rinuncia alle sue divine prerogative e abbraccia la morte (cf. Fil 2,6-8).

Dio, nella carne umana di Gesù Cristo, ridiventa ancor più Se stesso, com’è annunciato nel Nuovo Testamento: Cristo Gesù «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8), cioè visse in una forma del tutto inedita la sua stessa figliolanza (“obbedienza” significa biblicamente appunto l’ascolto che il Figlio presta al Padre).

La kenosis, lo svuotamento di sé, l’uscita da sé, è il primo paradigma di un umanesimo nuovo e “altro” e la via paradossale di un’autentica libertà, capace di costruire fraternità.

Non si tratta però, come molti superficialmente ritengono, di accettare una visione vittimistica e, forse, pessimistica dell’umano. Si tratta piuttosto di uscire dallo schema mondano vincitori/vinti, per assaporare su un piano diverso la bellezza della lieta notizia: mentre è inchiodato sulla croce (sul legno), e dunque sconfitto agli occhi del mondo, Gesù viene anche innalzato da terra e ricondotto alla gloria del Padre (cf. Gv 8,28 e Fil 2,9-11).

Nella vicenda pasquale del Crocifisso Risorto ogni uomo ferito, reietto, rifiutato, emarginato, scartato, è anche “più uomo”, abbracciato nella figliolanza del Figlio, vivificato dal suo stesso Spirito che torna a gridare gioioso nel cuore di molti: «Abbà, Padre» (cf. Rm 8,15-16 e Gal 4,6).    (Traccia, pagg. 35-36)

1.   Discernere i segni

La Traccia del convegno di Firenze ci invita ad essere cercatori dei segni dell’umanità nuova. Ci invita a cercarli ovunque, nella vita degli uomini e nella vita delle nostre famiglie e comunità cristiane.

“Guardate anche agli uomini che Dio ha destinato a vostri compagni di viaggio. Vedeteli nella luce di Dio, creature di Dio, figli di Dio. … Tutti quelli che vivono con voi sulla terra portano con sé un tesoro di infinito valore, che vale il sangue di Gesù, l’agonia di Gesù. Il Padre ha dato il suo stesso Figlio, e lo ha fatto agonizzare in croce per redimerli; e per nutrirli Gesù dà se stesso nell’Eucaristia; per vestirli dà loro la sua grazia; e per ornarli dà loro i suoi meriti; e li vuole con sé, figli del Padre suo” (Silenzio, pag. 32.35).

  • Per fare questo – dice la Traccia – occorre che noi affiniamo l’attitudine al discernimento. «Discernimento comunitario» è un termine ricco di significato per la Chiesa italiana. Indica la volontà di costruirsi come corpo non clericale, dove ogni battezzato, le famiglie, le diverse aggregazioni ecclesiali sono soggetto responsabile; dove tutti insieme cerchiamo di essere docili all’azione dello Spirito.
  • Significa vedere che lo Spirito Santo risveglia in chi si lascia raggiungere   dalla sua grazia l’immagine di Gesù e che, soprattutto, disegna una Chiesa che si lascia seminare nel campo del mondo, accanto ai più piccoli come loro voce e speranza, nell’attesa vigile e fiduciosa dello Sposo.
  • Gli elementi per un discernimento comunitario sono:
  •  –       radicamento orante nella Parola di Dio, letta dentro la Chiesa alla luce della Tradizione e delle nuove domande che la storia ci sollecita;
  •          (Riceveranno il Vangelo) “con il massimo rispetto; lo custodiranno come corazza contro le tentazioni, come cibo, come focolare, come lume, come olio, come conforto nelle varie vicende della vita, finchè esso passerà dentro, ci trasformerà, ci realizzerà, ci porterà là dove il Vangelo ci indica, nel Regno di Dio”  (Natale 1926).
  •  
  • –       ricerca dei semi di verità sparsi nella storia degli uomini;
  •             (Ogni frammento di vita è abitato da Gesù). “Che cos’hanno i figli degli uomini, perché Lui possa dire che trova le sue delizie nello starsene fra di loro? Non c’è altro da dire se non che l’amore l’ha fatto impazzire. E’ vero che c’è Gesù Cristo in tutti i  tabernacoli, in tutte le particole, in tutti i frammenti? Che mistero d’amore! Avvicinatevi a Lui ogni volta che volete: Egli stesso formerà in voi, attorno a voi questa cella, questa pisside d’argento, questo tabernacolo, questa Chiesa”   (Meditazione Esercizi, 25.10.1928).
  • –       interpretazione della società e della cultura alla luce della verità di Cristo (che ci rende capaci di riconoscere le conseguenze del peccato nella nostra storia unite alle tracce dell’opera di redenzione);
  •             (Guardate) “gli avvenimenti con fede perfetta e luminosa, siano essi dipendenti dagli uomini bene o male intenzionati, o dipendenti da cause fisiche e materiali. In tutto, sempre vedete il Padre, che tutto sa, tutto può, tutto dispone, e se non altro tutto permette. E se il Padre vostro permette così, chi siete voi che abbiate da chiedere a Lui o agli altri il perché e vi lamentiate?”   (Silenzio, pag. 36-37).
  • –       accettazione delle sfide, nella fiduciosa consapevolezza che camminando nella direzione indicata da Gesù potremo affrontarle come occasioni di pienezza, anziché mortificazione, dell’umano.
  • “La carità deve essere in Dio per Iddio. Cioè, il motivo per cui si vuol bene ad una persona è quello stesso per cui si deve
  • voler bene ad un’altra, a tutti,  perché è la figliolanza divina, l’immagine viva del Padre in quella persona, è l’amore che il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo hanno per quella persona, è il carattere di cristiano che rifulge in quella fronte, … e questo è uguale per tutti”   (Meditazioni, 13.8.1929).

2.   Luoghi, frontiere, periferie

Al Convegno di Verona (2006) la Chiesa italiana scelse di mettere al centro della propria pastorale la persona, con gli ambiti che ne costituiscono l’identità: gli ambiti della cittadinanza, della fragilità, degli affetti, del lavoro, della festa, dell’educazione e della trasmissione della fede. Questi ambiti sono da sempre incarnati in luoghi, ossia spazi dell’umano dentro i quali impariamo ad annunciare il Vangelo, secondo la strategia della contaminazione e del meticciato. Siamo, infatti, uomini e donne situati in uno spazio e in un tempo, che condividono con altri la sete di gioia e di felicità, le speranze e le paure; con loro costruiamo i legami che esprimono la nostra identità, ciò che crediamo, i valori che vogliamo vivere; e, dentro questo intreccio, mettiamo a prova la nostra fede e spendiamola nostra testimonianza.

Con la crescente complessità del mondo globalizzato, con le nuove forme d’ingiustizia che allargano il divario tra ricchi e poveri, con lo strapotere del sistema tecnologico e la crisi delle istituzioni (dalla scuola alla famiglia), i luoghi hanno perso molte rigidità, ma anche solidità e unità, e sono diventati più permeabili, vulnerabili, sempre più sfidati e messi in questione.

Si può dire che i luoghi siano diventati oggi sempre più  frontiere: linee di incontro/ scontro tra culture, e anche tra visioni del mondo diverse dentro una stessa cultura. La famiglia, per esempio è attaccata da tanti fronti, e non sono rari quei bambini che vivono tra diverse case, costretti a fare i conti con complesse geografie relazionali.

Come vivere il Vangelo in questi cambiamenti? Le frontiere si possono difendere, cercando di costruire muri. Ma possono essere anche soglie, luoghi d’incontro e dialogo, senza i quali rischiano di trasformarsi in periferie da cui si fugge: abbandonate e dimenticate. Il movimento non è quello della chiusura difensiva, ma dell’uscita. Senza paura di perdere la propria identità, anzi facendone dono ad altri.

In questo modo, gli ambienti quotidianamente abitati, come la famiglia, l’educazione, la scuola, il creato, la città, il lavoro, i poveri e gli emarginati, l’universo digitale e la rete, sono diventati quelle “periferie esistenziali” che s’impongono all’attenzione della Chiesa italiana quale priorità in cui operare il discernimento, per accogliere l’urgenza missionaria di Gesù.

                  “Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. … Tutti siamo chiamati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità, ed avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo. La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli é una gioia missionaria. … L’intimità della Chiesa con Gesù è una intimità itinerante, e la comunione “si configura essenzialmente come ‘comunione missionaria’. …  La Chiesa ‘in uscita’ è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e che festeggiano”.   (cfr. Evangelii gaudium, 20-24) 

3.   Le cinque vie

Questo lavoro di discernimento può realizzarsi lungo cinque vie suggerite da Papa Francesco nella esortazione apostolica Evangelii gaudium. Sono esse: uscire, annunciare,

abitare, educare, trasformare. Sono cinque verbi che si intrecciano tra di loro.

È soprattutto su questi verbi che vogliamo riflettere insieme, in gruppo. Li presentiamo ispirandoci ad un articolo di Mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e vice-presidente del Comitato preparatorio del Convegno di Firenze, e accompagnandoli da alcune domande che possono aiutarci nel lavoro di discernimento.

Uscire.

Si tratta soprattutto di superare l’inerzia e la ripetitività della nostra azione pastorale, anche in vista di alleggerire il nostro bagaglio per procedere in modo meno impacciato, per andare verso la gente, per ascoltare il suo smarrimento e per portare alla luce i tanti segni di buona umanità che pure sono presenti.

  • – Nella nostra comunità o nel nostro gruppo ci sono azioni pratiche che concretizzano l’appello di papa Francesco ad essere chiesa in uscita?
  • Quali concretamente?
  • – Se fatichiamo a farlo, chiediamoci: Cosa ci impedisce di diventare “chiesa in uscita”, che cosa ci blocca?

“Chiamati a vivere da figli di Dio, dobbiamo rivelare nella vita l’infinita carità del Padre, essere nel mondo presenze del suo amore. Accogliere questa carità divina, farla propria, è realtà di senso vissuto nella ferialità del quotidiano, come coinvolgimento di amore per tutti gli uomini, con particolare cura agli ultimi, ai poveri. Questo vuol dire riamare il Padre nello Spirito di Cristo che ‘annientò se stesso prendendo la natura di schiavo e divenendo simile agli uomini, e volle essere ritenuto come uomo’ (Fil 2,7). Facciamoci noi tutto, per tutti, lasciamoci credere tutto, lasciamoci dire tutto. Va bene, va bene, niente è troppo per noi…

   Vogliamo combattere il mondo, l’inferno? Scegliamo le armi opposte. Scegliamo i poveri, gli umili; parlino essi di noi a Dio, questo ci basta. 

   Ma vogliamo guadagnare il mondo? Vestiamoci pure di ciò che ci permette di avvicinarlo. Gesù si è fatto uomo e si dice il Figlio dell’uomo per salvare gli uomini”   (Lettere per tutti, 1.4.1926)

Annunciare

È il verbo tipicamente evangelico che la Chiesa ha saputo coniugare scandendo nel corso dei millenni i passi della missione ricevuta da Gesù Cristo. Oggi l’annuncio deve essere più missionario e deve tenere presente il fatto che viviamo in un contesto plurale per le espressioni religiose e culturali.

  • –   La nostra comunità o il nostro gruppo: – sta rivedendo la propria forma di essere per diventare sempre
  • più comunità o gruppo di annuncio di Vangelo?
  • Ci sono segni concreti che vanno in questa direzione?
  • – come si preoccupa di sostenere le scelte di vita e la testimonianza cristiana dei suoi membri?
  • – ha cercato e messo in atto qualche nuovo modo di annunciare il vangelo agli adulti?

            “Hanno più fame della verità quelli che sono più miseri, quelli che ne sono più lontani. I più pieni e gonfi di luridume, di marciume, di fango, sono quelli che hanno più bisogno che una figlia di Dio li cerchi, li curi da tante malattie, e li nutra di un po’ di cibo sano, e li consoli, deterga i loro occhi, le loro orecchie, i loro cuori, e insegni a quelle labbra a ‘parlare correttamente’, come faceva Gesù con gli indemoniati”   (Silenzio, pag. 46).

Abitare

Dice la prossimità della Chiesa al territorio, alla città, alla gente, attestata dalle straordinarie opere educative, caritative, assistenziali, artistiche. Ma le trasformazioni sociali e culturali diffondono visioni riduttive dell’umano e stili di vita che ignorano il bene comune, con un impoverimento spirituale e morale che interpella il contributo di ispirazione, di testimonianza e di azione della Chiesa.

  • –   Ci sono azioni e scelte concrete che rivelano l’impegno ed il gusto della nostra comunità o del nostro gruppo di abitare il proprio territorio con amore, con passione e con semplicità?
  • –   Negli anni ’80, per dare futuro alla tradizione di una Chiesa radicata tra i poveri, i vescovi italiani lanciarono un imperativo: «Ripartire dagli ultimi». Come la nostra comunità o il nostro gruppo sta tenendo fede a questa promessa?  Quali sfide ha davanti a sé in tale senso?

                  “Noi Figli di Dio dobbiamo sempre aver di mira e tener presente che, adottati dal Padre in figli, lo potremo essere solo sull’esempio ed imitazione del Figlio di Dio. Il Verbo era in Dio, ed era Dio. Ecco la sua Clausura, il seno del Padre, in cui vedeva tutto ed amava, amato e visto dal Padre.

   La gloria del Padre e la nostra redenzione lo trasse di là in terra. Qui si è formato un’altra Clausura, il seno di Maria, il Tabernacolo, il nostro cuore, e l’abiezione, quasi una Clausura che può sempre portare con sé, silente, umile, nascosta, inosservata. Egli regna nel mondo e nei cuori, passa per le strade chiuso eppur palese nel cuore dei suoi, nel loro contegno, nella loro virtù, nel loro zelo: è sempre il Cristo nascosto e palese, entro e fuori della sua Clausura”   (Lettera da Genova, “Clausura”, 1930)         

Educare

Il venir meno della passione educativa e l’emergere della questione antropologica coinvolgono tutta la vita umana, dal generare al rapporto tra le generazioni, dalla configurazione della famiglia al riconoscimento della differenza sessuale. Sono la grande sfida odierna.

Il primato della relazione, il ricupero del ruolo fondamentale della coscienza e dell’interiorità nella costruzione dell’identità della persona, la necessità di ripensare i percorsi pedagogici sono le condizioni per la crescita umana, civile ed ecclesiale. Educare è un’arte: occorre che ognuno di noi, immerso in questo contesto in trasformazione, l’apprenda nuovamente, ricercando la sapienza che ci consente di vivere in quella pace tra noi e con il creato che non è solo assenza di conflitti, ma tessitura di relazioni profonde e libere.

– In una società connotata da relazioni fragili, conflittuali ed esposte al veloce consumo, la nostra comunità o il nostro gruppo ha cura di crescere rinnovandosi nello stile dell’incontro fraterno e dell’accoglienza reciproca?

  • –  Quali sono in mezzo a noi i segni di questa vita bella, di relazioni buone?
  • –  Quali sono le frontiere che sentiamo di dover abitare per aiutare a trasformare la solitudine e l’individualismo in fioritura di vita nuova?

                  “Il nostro Dio, che ha preso davanti a noi la sua posizione d’amore, ci dice: – Senti, creatura, io sono Dio, il Creatore dell’universo, l’Onnipotente… Ora ti chiamo alla vita, ti faccio un essere capace d’intendere, di amare; apri gli occhi: nelle cose visibili mi troverai, benchè invisibile.

   Io mi metto di fronte a te: tu ci sei, io ci sono… Prendiamo posizione uno di fronte all’altro… Sia la nostra la posizione di quelli che si amano. Io ti amo, e ti amerò fino in fondo… Tu prendi posizione davanti a me. Ti ho fatto capace di amare e ti domando amore: amami! … Io ho preso posizione d’amore. Adesso tocca a te!”   (Meditazioni, luglio 1928)

Trasfigurare

La luce di Cristo risorto dona lo sguardo nuovo e originale sulla vita umana, sulle relazioni, sul cammino dell’uomo.

Nella preghiera, nell’ascolto orante della Parola, nei santi misteri celebrati, nella carità risplende il volto di Cristo e nella sua luce viene illuminato il volto dell’uomo e viene valorizzata e alimentata la qualità della vita.

L’importante via del trasfigurare attraversa ogni realtà umana interpella il contributo di ispirazione, di testimonianza e di azione della Chiesa.

  • –   Le nostre celebrazioni domenicali, in quanto incontro con Cristo luce del mondo, aiutano il popolo che le celebra a vivere la trasfigurazione della propria vita e del mondo?
  • –   Quanto lo stile della misericordia di Dio Padre operante nella vita filiale di Gesù stesso, è diventato l’ingrediente principale del nostro essere uomini e donne di questo mondo?
  • –   Abbiamo testimonianze concrete da raccontarci?

                   “Noi siamo avviluppati e stretti tra gli amori di Dio Padre e di Dio Figlio, e siamo l’oggetto del dono reciproco fattosi tra di loro. … Noi siamo avviluppati nell’azione amorosa, incomprensibile dei nostri Tre, e siamo un Dono che essi si fanno reciprocamente. Noi dobbiamo essere un Dono di noi a Dio, amorosi figli, capaci di amare davvero il Padre, con l’opera dello Spirito Santo, come Gesù, di cui il Padre ci ha dato lo Spirito ‘in quo clamamus: Abba, Pater!’ (Rom 8,15).

   Ora come diventare noi questo Dono a Dio, al Padre? Questo è il piano del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: farci ed essere figli di Dio, amare il Padre Dio da figli; questa è la religione di Gesù Cristo, del Verbo; e questo è lo Spirito suo datoci dal Padre, cioè lo Spirito Santo.

   Ma come vivere questo disegno di essere figli di Dio? Lasciarci trasformare, lasciarci portare, lasciarci fare figli: come, quanto lo sa e lo vuole Lui, e praticamente lasciarci modellare sulla figura del Verbo incarnato. Avviluppati tra le reti di una tale carità che per noi ha avuto il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, come potremo noi non ardere?   (Quaderno della Carità, 1932).

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