Dic 102016
 

papa-francesco-731x1024Spesso sono le persone più vicine a noi che hanno bisogno del nostro aiuto. Non dobbiamo andare alla ricerca di chissà quali imprese da realizzare E’ meglio iniziare da quelle più semplici, che il Signore ci indica come le più urgenti.

In un mondo purtroppo colpito dal virus dell’indifferenza, le opere di misericordia sono il migliore antidoto. Ci educano, infatti, all’attenzione verso le esigenze più elementari dei nostri “fratelli più piccoli”, nei quali è presente Gesù. Dove c’è un bisogno, una persona che ha un bisogno, sia materiale che spirituale, Gesù è lì.

Riconoscere il suo volto in quello di chi è nel bisogno è una vera sfida contro l’indifferenza. Ci permette di essere sempre vigilanti, evitando che Cristo ci passi accanto senza che lo riconosciamo. Torna alla mente la frase di sant’Agostino: “Ho paura che il Signore passi” e non lo riconosca.   (Udienza generale, 12 ottobre).

Oggi è tempo di missione ed è tempo di coraggio! Coraggio di rafforzare i passi vacillanti, di riprendere il gusto dello spendersi per il Vangelo, di riacquistare fiducia nella forza che la missione porta con sé.

E’ tempo di coraggio, anche se avere coraggio non significa avere garanzia di successo. Ci è richiesto il coraggio per lottare, non necessariamente per vincere; per annunciare, non necessariamente per convertire. Ci è richiesto il coraggio per essere alternativi al mondo, senza però mai diventare polemici o aggressivi. Ci è richiesto il coraggio per aprirci a tutti, senza mai sminuire l’assolutezza e l’unicità di Cristo, unico salvatore di tutti. Ci è richiesto coraggio per resistere all’incredulità, senza diventare arroganti. Ci è richiesto anche il coraggio del pubblicano del Vangelo, che con umiltà non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Oggi è tempo di coraggio!     (Angelus, 23 ottobre)

Molte volte noi non incontriamo i fratelli, pur vivendo loro accanto, soprattutto quando facciamo prevalere la nostra posizione su quella dell’altro. Non dialoghiamo quando non ascoltiamo abbastanza oppure tendiamo a interrompere l’altro per dimostrare di avere ragione. Ma quante volte stiamo ascoltando una persona, la fermiamo e diciamo: “No! No! Non è così!”, e non lasciamo che finisca di spiegare quello che vuole dire. E questo impedisce il dialogo: questa è aggressione. Il vero dialogo, invece, necessita di momenti di silenzio, in cui cogliere il dono straordinario della presenza di Dio nel fratello. Dialogare aiuta le persone a umanizzare i rapporti e a superare le incomprensioni. C’è tanto bisogno di dialogo nelle nostre famiglie, e come si risolverebbero più facilmente le questioni se si imparasse ad ascoltarsi vicendevolmente! (Udienza giubilare, 22 ottobre)

C’era un rifugiato che cercava una strada, una signora gli si avvicinò e gli disse: “Ma, lei cerca qualcosa?”. Era senza scarpe, quel rifugiato. E lui ha detto: “Io vorrei andare a San Pietro per entrare nella Porta Santa”. E la signora pensò: “Ma non ha le scarpe, come farà a camminare?”. E chiama un taxi. Ma quel migrante puzzava e l’autista del taxi quasi non voleva che salisse, ma alla fine l’ha lasciato salire. E la signora, accanto a lui, gli domandò un po’ della sua storia: dieci minuti per arrivare fino a qui. Quest’uomo raccontò la sua storia di dolore, di guerra, di fame e perché era fuggito dalla sua patria per migrare qui. Quando sono arrivati la signora apre la borsa per pagar il tassista e il tassista ha detto: “No, signora, sono io che devo pagare lei perché lei mi ha fatto sentire una storia che mi ha cambiato il cuore”. (Udienza generale, 26 ottobre)

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