
Ti rendo lode, Padre… Sì, Padre, perché oggi così a te è piaciuto. –
- Ti rendo lode, Padre… Sì, Padre, perché oggi così a te è piaciuto. –
- Tutto mi è stato dato dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
- Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete… (Lc 10,21-24)
La luce più completa sulla identità di Gesù ci viene dal suo atteggiamento, dal modo in cui si mette in rapporto con il Padre e gli si rivolge, e perfino dal nome con cui lo invoca, lo prega, lo ringrazia: ‘Abbà’, che significa Papà (era il termine affettuoso con cui i bambini si rivolgevano al padre).
Era una cosa assolutamente nuova per gli apostoli, perché nella preghiera Dio era sì chiamato Padre, ma con una sfumatura più di timore rispettoso che di confidenza amorosa, come invece è in Gesù. Chiamando Dio ‘Abbà’, Gesù definisce se stesso come Figlio.
Nei Vangeli, la parola ‘Abbà’ è riportata soltanto una volta: nell’orto del Getsemani Gesù è pieno di angoscia e di tristezza, e si rivolge a Dio: “E diceva: Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, se vuoi toglimi questo calice! Però non la mia ma la tua volontà sia fatta” (Mc 14,36). San Paolo riprenderà il termine nelle lettere ai Romani e ai Galati.
Tuttavia gli esegeti sono d’accordo nel dire che nella preghiera Gesù usava abitualmente il termine ‘Abbà’. Anche quando sulla croce fa suo il versetto del salmo 21: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” – subito dopo aggiunge: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”, e ancora una volta dice ‘Abbà’. Sì, Gesù si rivolge al Padre con il termine affettuoso, filiale, di Papà, con espressioni di ringraziamento e di abbandono.
Questo modo di parlare a Dio da parte di Gesù mette in rilievo quella spontaneità, quello sgorgare interiore in lui di un rapporto filiale con il Padre. Anche nella sua esperienza umana Gesù sente, sa, che il Padre è ‘suo Padre’, e che la sua realtà è di essere Figlio.
Gli apostoli, che lo sentono pregare così, capiscono o almeno intuiscono che Gesù è in un rapporto unico con Dio, e accolgono nella fede la rivelazione che in Dio c’è la paternità, e questa intuizione li porta all’atto di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16).
Il contatto con Gesù fa loro riconoscere che Dio è Padre. Devono rifletterci sopra, devono superare una certa mentalità, ma con la grazia di Dio arrivano a questo atto di fede, arrivano a cogliere in Gesù la relazione Figlio-Padre.
Anche noi dobbiamo stare in contatto con Gesù per capire, sempre all’interno della fede, la rivelazione del rapporto di Gesù Figlio con il Padre, affinché questa rivelazione diventi la convinzione vissuta che la paternità di Dio agisce anche nei nostri confronti.
Ma in che senso Gesù è il Figlio di Dio? Anche di questo mistero noi possiamo parlare solo per analogia, usando parole che conosciamo per applicarle a Dio, tenendo però presente che si tratta di qualche cosa di molto diverso, di infinitamente più grande.
Nel Vangelo il rapporto Padre-Figlio in Dio è indicato come generazione: il Figlio è generato dal Padre. Infatti all’inizio del Vangelo secondo Giovanni due volte è usato il termine ‘unigenito’: “Abbiamo visto la gloria del Verbo, gloria come di unigenito del Padre… Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (1,14 e 18). ‘Figlio unigenito’ significa figlio unico; san Paolo userà la parola ‘primogenito’, ma per indicare il primato di Cristo: primogenito d’ogni creatura e di coloro che risuscitano dai morti (Col 1,15 e 18), primogenito tra molti fratelli (Rm 8,29). La Chiesa fin dall’inizio per esprimere bene la propria fede ha fissato nel CREDO: “generato, non creato”. Il rapporto padre-figlio, madre-figlio risulta dalla generazione, e questo è meravigliosamente vero in Dio. Quando Gesù diceva ‘Abbà’ riconosceva di essere generato dal Padre, che il Padre era all’origine della sua esistenza filiale; il valore della paternità e della filialità non era soltanto perché c’era un amore paterno, ma perché tutto passava dal Padre al Figlio: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio”. E’ una generazione eterna; Gesù ha coscienza di que sto dono di totale dipendenza dal Padre, sa che tutto egli riceve dal Padre.
Siamo nel mistero, ma quanta luce per noi! La filiazione divina implica
– la priorità del Padre, non nel tempo, ma secondo l’espressione di Gesù: “Il Padre è più grande di me” (Gv 14,28);
– la più assoluta eguaglianza: la perfezione è totale sia nel Padre che nel Figlio: “Il Padre e io siamo una cosa sola” (Gv 10,30); e come nel Padre e nel Figlio, così nello Spirito Santo: la divinità è completa, e dire divinità è dire onnipotenza, onniscienza, eternità… e soprattutto Amore infinito.
Il contatto con Gesù ci porta allora a riaffermare che Dio Padre è tutto e solo Padre sia per il Figlio unigenito, nell’eternità e nella sua incarnazione, sia per noi: anche per noi il Padre è tutto e solo Padre. Certo in modo diverso, ma sempre vero.
Siamo quindi chiamati a un atto di adorazione, e se pure qualche cosa cerchiamo di capire, siamo sempre lontani dalla comprensione; adorazione unita al ringraziamento, perché la totalità del dono al Figlio è diventata dono pure per noi.
PREGHIERA
Ti rendiamo grazie, Signore, che nella tua onnipotenza con sorprendente amore sei Padre per noi.
Servi eravamo per natura, ma nel tuo Unigenito ci hai reso figli e ci hai destinati ad una vita senza fine.
Per questo immenso dono noi ti lodiamo e ti rendiamo grazie.
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