Nov 192023
 

Un’attesa attiva e responsabile. Il nostro sguardo sul tempo escatologico non si limita a un passivo richiamo all’attesa ma diventa invito a portare già oggi frutti di conversione, a “investire” oggi, con sapienza, il bene che abbiamo ricevuto, per renderlo in abbondanza quando ce ne sarà chiesto conto

Commento di DON MARIO ALBERTINI

Nella parabola dei talenti, immagino che anche per voi,  come per me, ad attirare l’attenzione sia il terzo servo,  che non ha fatto fruttificare il talento ricevuto. Cosa ha  compiuto di male, dove ha sbagliato per sentirsi  condannare come malvagio e pigro? La chiave sta nelle  parole che lui rivolge al padrone: tu sei duro ed esigente,  e metti paura. Non si è dato da fare perché il suo rapporto  con il padrone era di non-fiducia, di paura. 

 La questione anche per noi è: com’è il mio rapporto con  Dio? Se Dio lo penso come giudice severo e come  padrone esigente, mi verrà da dire: non ce la faccio a  comportarmi come vuole lui, e tiro avanti alla meno  peggio, accontentandomi di non fare grossi malanni…  

 Ma Gesù ci ha rivelato che Dio è Padre, e quindi si  aspetta da noi un rapporto di fiducia e di amore. Fiducia  in lui, e – cosa forse più difficile – fiducia anche in noi  stessi perché lui ci ha resi capaci di fare qualcosa di  buono per lui. 

 E’ bello capire che il Signore ha fiducia in noi e ci  affida dei talenti da amministrare. E’ esigente, sì, ma non  duro. 

 Cosa s’intende per talenti? Ai tempi di Gesù erano  monete di grandissimo valore, un capitale. Per quanto  riguarda noi, sono i doni, le doti che abbiamo ricevuto da  Dio e che possiamo mettere a servizio suo e del prossimo.  E il talento più importante che ci ha dato è il dono della  vita con tutte le sue risorse, e con essa il dono del suo  amore. E’ questo capitale che devo investire, senza  scoraggiarmi mai.

Perché Dio gode della nostra semplice ma operativa  bontà se, giorno dopo giorno, compiamo i nostri umili  doveri con spirito di amore. 

 Certo, saremo chiamati a rendere conto della nostra  vita, ma sappiamo che alla nostra risposta attiva  corrisponderà la partecipazione alla immensa, indicibile,  piena gioia di Dio. 

 Da Lui ci sentiremo dire: Vieni a godere della mia  stessa gioia. Perché Dio desidera rallegrarsi con chi gli è  fedele, e ci vuole partecipi della sua gioia. L’aspetto  esaltante della rivelazione di Gesù è che Dio in  ricompensa o in premio non ci dà qualche cosa, ma ci  comunica se stesso: “prendi parte alla gioia del tuo  padrone”, è detto nella parabola. Con questa certezza  diventa facile vivere la fedeltà, la vigilanza, l’impegno… 

 Di sicuro nella nostra vita abbiamo incontrato persone  che hanno saputo vivere così, persone che hanno fatto  fruttificare i loro talenti anche a nostro vantaggio, senza  far tanto rumore, nella semplicità, nella serenità, nel dono  ai fratelli. Perché non le prendiamo ad esempio, nella  speranza – come abbiamo detto nella preghiera iniziale – “nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e  così entrare pure noi nella gioia del regno di Dio”?

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