“Oggi nel mondo c’è un grande sentimento di orfanezza: tanti hanno tante cose, ma manca il Padre”. E’ domenica mattina. Ascolti il Papa, per l’ultima volta nelle Messe da Santa Marta aperte al popolo della tv e dei social, e le sue parole ti sembrano una freccia che lascia il segno, cogliendo il bersaglio. Un bersaglio dolente e misconosciuto: qualcosa che riguarda il nostro modo di vivere, nel suo livello più profondo. Orfanezza, dice Francesco, e ti pare uno strano sostantivo (esistente però, dice il vocabolario); un’espressione che tuttavia centra con precisione un malessere carsico del nostro tempo. Orfanezza: il sentimento di non avere un Padre e dunque di non essere un figlio. Di non camminare in un disegno, ma dentro un caso cieco. Forse lo può capire meglio chi non è sempre vissuto nella fede: percepirsi soli, chissà perchè venuti al mondo, e non veramente cari a nessuno. Chi ha ereditato in famiglia una fede di roccia stenta magari a immedesimarsi in questa assoluta solitudine, che però accomuna oggi un grande numero di uomini e donne. Leggi tutto »
TERESA CHE E’ STATA BRACCIANTE E QUELLE LACRIME SENZA VERGOGNA
Belle le lacrime della ministra Teresa Bellanova, mercoledì sera, dopo l’approvazione delle misure per la regolarizzazione di migliaia di lavoratori stranieri. Belle perchè testimoni della capacità di moti dell’anima intensi anche in una politica (e sindacalista) di lungo corso, che si direbbe avvezza per vita e professione a momenti “forti”. Belle perchè sospinte da profonda partecipazione per un traguardo duramente raggiunto, che si tradurrà in una chance di vita alla luce del sole per chi, come lei stessa ha sperimentato da giovane, si spezza la schiena per due soldi trasferiti sottobanco, come elargizione. Lacrime di ministra, lacrime liberatorie perchè per la liberazione dall’oscurità e, spesso, anche dallo sfruttamento di centinaia di migliaia di persone in carne e ossa. Leggi tutto »
Diario di un medico “soldato semplice”
Caro direttore, ogni giorno mi corico e mi risveglio con questa domanda: avrò fatto la mia parte fino in fondo? Rispetto ai colleghi in trincea negli ospedali, stravolti dal lavoro incessante ed esposti a un rischio elevato, io medico che lavoro sul territorio sto presidiando con efficacia la situazione? A ben vedere la domanda sulla propria identità, in scienza e coscienza, è già dentro la professione medica, ma oggi viene acuita e provocata dalla pandemia che stiamo vivendo. Circa 1.700 assistiti col Servizio sanitario, oltre a una quota variabile di privati, conoscenti e amici seguiti attraverso l’attività specialistica e di ricovero in una clinica privata. Quasi 2mila persone che mi stanno a cuore, che mi chiedono incessantemente lumi, consigli, rassicurazioni cliniche e al contempo umane. Due cellulari attivi h24, email, visite domiciliari, video-consulti: benedette le innovazioni tecnologiche, ben venga la telemedicina… Il 98% della patologia dominante è simil-influenzale: una miriade di casi, protratti o nuovi, che maledettamente non guariscono, i sintomi delle complicanze in agguato e difficili da valutare con obiettività, la presunzione che quasi tutti siano positivi al virus, anche se il tampone non si può fare. Rari casi gravi in ospedale per ora (a mia conoscenza), ma bastano per stare in angoscia. Leggi tutto »
Ma oggi riconosciamo eroi quelli che salvano
Il concetto di “eroe” non è più quello che ci hanno insegnato a scuola e che trovavamo nei libri di storia. Adesso, nei tg e sui giornali, vediamo definiti eroi operatori nel campo della medicina, degli ospedali, delle scuole, delle missioni, che svolgono la loro opera perché non possono farne a meno, è un’attività a cui si sentono legati perché salva. Essere eroe ha a che fare col salvare, col voler salvare a tutti i costi, anche di ammalarsi, anche di morire.Pesco dal giornale questa frase del presidente Mattarella: «Il nostro pensiero grato e riconoscente va alle infermiere e agli infermieri in prima linea, e con loro a tutti i medici degli ospedali e dei servizi territoriali, agli assistenti, ai ricercatori, a quanti operano nei servizi ausiliari: li abbiamo visti lavorare fino allo stremo delle forze per salvare vite umane e molti di loro hanno pagato con la vita il servizio prestato ai malati». Leggi tutto »
Ma oggi consideriamo eroi quelli che ci salvano
Il concetto di “eroe” non è più quello che ci hanno insegnato a scuola e che trovavamo nei libri di storia. Adesso, nei Tg e sui giornali, vediamo definiti eroi operatori nel campo della medicina, degli ospedali, delle scuole, delle missioni, che svolgono la loro opera perché non possono farne a meno, è un’attività a cui si sentono legati perché salva. Essere eroe ha a che fare col salvare, col voler salvare a tutti i costi, anche di ammalarsi, anche di morire. Pesco dal giornale questa frase del presidente Mattarella: «Il nostro pensiero grato e riconoscente va alle infermiere e agli infermieri in prima linea, e con loro a tutti i medici degli ospedali e dei servizi territoriali, agli assistenti, ai ricercatori, a quanti operano nei servizi ausiliari: li abbiamo visti lavorare fino allo stremo delle forze per salvare vite umane e molti di loro hanno pagato con la vita il servizio prestato ai malati». Sono medici-eroi, infermieri-eroi. Una volta il termine eroe non si usava in questa accezione, lo si usava in campo militare e indicava colui che compiva operazioni rischiose contro un nemico, lo sfidava, lo colpiva, se poteva lo colpiva a morte, e ritornava vivo tra noi. Ma non era necessario che tornasse: per essere eroe bastava compiere un’azione coraggiosa, mostrare sprezzo del pericolo, eseguire un ordine anche se poteva costare la vita. Leggi tutto »