Nov 202021
 

Un incontro forte, pieno di verità, quello vissuto da papa Francesco nell’Assisi del povero frate. È stato commovente vedere il pontefice entrare nella basilica di Santa Maria degli Angeli con il bastone del pellegrino e un mantello ricevuti in dono. Accorato l’appello del Papa a dar «voce» ai poveri rendendoli davvero protagonisti della storia e non più presenze «fastidiose», a stento tollerate. «È tempo – ha scandito – che si spezzi il cerchio dell’indifferenza» dinanzi alla vergognosa «ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura» gettando addirittura «la colpa sulle spalle dei più deboli». Esiste una povertà che è causa ed effetto di tutte le altre: la povertà interiore. L’avidità dell’egoismo ci impedisce di vedere l’altro come una risorsa e comporta una chiusura al prossimo che diventa condanna all’infelicità. Francesco ha voluto una Giornata mondiale dedicata ai poveri per sollecitare una riflessione sulle radici della vera indigenza. E alla quinta edizione ne rafforza il significato anticipandone la celebrazione nella Città della pace e della solidarietà. Ponendo il grido dei poveri a fondamento della vocazione universale della Chiesa. 

Alzare muri interiori, opporre resistenza al confronto con i fratelli e le sorelle, provoca l’impossibilità di trasformare la società in comunità. Anche un ricco può essere povero se interiormente è bloccato, fossilizzato, impedito nella capacità di relazionarsi a chi cerca e offre opportunità di dialogo. Sentirsi un’isola, segnare il proprio territorio provoca un impoverimento umano e sociale che è esso stesso motivo di grave disagio. La disoccupazione non è solo un distruttivo fenomeno economico, bensì è il segnale di una collettività che ha smesso di proiettarsi nel futuro e di volersi bene. Investire significa confidare nella positività e proficuità dei rapporti interpersonali. Ridurre le dinamiche socioeconomiche ad uno scambio finanziario mortifica la vita individuale e comunitaria, dandole la consistenza di un castello di carta, sganciato dal calore e dalla ricchezza di un contatto che diventa condivisione di ciò che si può costruire solo insieme. L’infaticabile apostolo della carità, don Oreste Benzi, esortava a edificare la società del gratuito invece di sprofondare in quella del profitto esasperato. Nel Magistero dei Papi ricorre la stessa distinzione tra l’economia del dono e il tornaconto egoistico proprio perché la visione economica e sociale della Chiesa si fonda su un «io» capace di diventare un «noi». La pandemia ha dimostrato la necessità di una risposta comune a un problema troppo grave per essere risolto individualmente. La tentazione diabolica di scartare chi è più fragile e apparentemente inutile equivale alla follia criminale che nelle pagine più buie della storia ha scaraventato l’umanità negli abissi più turpi. La vita, dal concepimento al suo termine naturale, resta la più preziosa ricchezza di cui disponiamo, e che sorregge la casa comune da tramandare alle prossime generazioni. Difendere le creature e il creato rappresenta il miglior progetto sul quale poter investire risorse ed energie. Eppure diventa sempre più difficile ascoltare il grido dei poveri. Di fronte abbiamo una crescente povertà invisibile che fingiamo di ignorare, ma che ci scava dentro. Ne sono espressione gli indigenti che non potranno mai chiedere il nostro aiuto, in-catenati come sono alle dipendenze, alle moderne forme di tratta e schiavitù, al venir meno di un senso di attaccamento, alla quotidianità che spinge molti nella marginalità. Sta a noi andare a cercarli, per offrire il balsamo evangelico della misericordia e della Parola, del sostegno senza secondi fini. Dialogare presuppone la disponibilità ad ascoltare e solo l’amore insegna a dialogare senza prevaricare. Quante volte siamo stati troppo impegnati per accorgerci di chi soffre sotto i nostri occhi? Come possiamo rimediare alla mancanza di attenzione per quanti navigano con noi sulla stessa barca in tempesta? L’emarginazione è il passo decisivo verso la povertà. Gli ‘indesiderati’ non fanno notizia, non scendono in piazza, non gridano al complotto, non diventano mai un problema tangibile, eppure pongono alla nostra coscienza una questione irrinunciabile: il macigno dell’indifferenza che soffoca e impoverisce l’anima. Papa Francesco è solito donare un’effige ai potenti che gli fanno visita: s.Martino che dona il mantello al povero. Come dire, se l’ha fatto lui, perché non possiamo farlo anche noi? Nessun luogo meglio della Porziuncola simboleggia la missione della Chiesa povera per i poveri.

Da Avvenire

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