Giu 232014
 

Prefazione di Luigi Accattoli

Aveva da dire e infine ha detto vincendo il naturale riserbo: noi che fummo con don Mario Albertini in varie stagioni – e che dunque sapevamo della sua vocazione a comunicare – così l’abbiamo riscoperto in pienezza con la lettura intensiva dei suoi testi,che in parte ignoravamo, condotta per settimane in vista di questa pubblicazione. Una chiamata a dire affinata nel conflitto con un carattere schivo e che si è espressa di preferenza nella conversazione amicale e nella scrittura, coltivata con intensità negli ultimi anni. Della conversazione sapevamo, la scrittura solo ora l’abbiamo conosciuta per intero.
Parabole, dialoghi con Dio, discussioni con gli scrittori più amati: don Mario scrive molto nella lunga vita, attiva sempre.
Nel computer ha lasciato testi rivisti fino all’ultimo. Una delle revisioni ha la data “13 marzo 2013 giorno dell’elezione di Papa Francesco”. Un’altra “maggio 2013”.
Era consapevole della forza della sua scrittura e della bontà di quanto era venuto ruminando nella vita. Non aveva mai cercato un editore ma sapeva – sperava – che qualcuno avrebbe letto le sue pagine: ed ecco questa antologia che vuole rispondere a quella speranza e offrire il miele di una lunga fatica a chi ebbe la fortuna di incontrarlo e a chi desideri riscoprirlo nella ricchezza dei suoi doni di parola e di vita.
Si tratta di decine e decine di testi che in questa antologia – che ne riporta dieci – saranno via via nominati e inquadrati da don Ermanno Crestani nelle introduzioni alle quattro sezioni, al fine di chiarire da quale orto siano stati colti i frutti con i  quali abbiamo imbandito la tavola. Nella postfazione Giovanni Benzoni darà qualche ragguaglio di quanto qui non è entrato.
Scrive moltissimo il nostro don Mario ma egli davvero è autore di un solo volume che potremmo chiamare “Libro dei soliloqui e dei dialoghi”: esso contiene anche testi più costruiti, come omelie, lezioni, piccoli saggi; ma generalmente si tratta
di brevi narrazioni o riflessioni, che potremmo anche chiamare parabole, una per pagina o poco più, che prendono spunto da una frase d’autore o da un versetto di un Salmo, da uno spettacolo naturale, da un ricordo. La pagina è costruita per lo più in forma di soliloquio e c’è almeno un caso, nella prefazione al librettoLa messa per la vita (novembre 2009), in cui don Mario evoca questa modalità comunicativa: «Quelle qui raccolte sono brevi riflessioni con lo stile del soliloquio». Quando passa dalla singola parabola al libretto prevale invece la forma dialogata e spesso sono “dialoghi con il Signore”: hanno questa forma i quattro opuscoli che riportiamo della terza sezione dell’antologia.
Chi parla con Dio parla con tutti e infatti don Mario non nasconde – nei testi più maturi – l’ambizione a una destinazione vasta dei suoi dialoghi interiori e dei suoi soliloqui, anche se mette nei titoli o sottotitoli parole come “riflessioni”, “appunti”, “divagazioni”, “intuizioni e tracce”. A volte scrive “brevi riflessioni”, oppure “semplici riflessioni”. Persino lo scritto con cui accompagna il testamento lo intitola “Ultime riflessioni” (lo trovi nella prima sezione di questa antologia). Egli in verità sapeva che scrivendo per sé scrive va per tutti.

La sua festa davanti agli occhi dei bimbi
Come invito alla lettura dell’antologia propongo due immagini: una del don Mario affabulatore, che conobbi quando giocava con i miei figli piccoli; l’altra del cercatore di Dio, che scrivendo per sé ha scritto per tutti  scoprii ascoltando le sue omelie. Sia l’affabulatore sia l’omileta li ho poi ritrovati, in progress, nei libretti che m’inviava negli anni – sette ne ebbi per posta, con l’indirizzo scritto di suo pugno sulla busta – e li ho infine conosciuti a tutto tondo nel corpus degli scritti.
Incontrai don Mario a Roma nel 1966 da studente della Fuci (era uno degli assistenti centrali) e l’ho sempre amato per la creativa capacità di pensare la fede e di cercare le parole per dirla. È stato nella giovinezza il mio confessore. Ci legava la comune sensibilità per la letteratura fantastica, nonché l’ammirazione per Aldo Moro e per Paolo VI. Apprezzava che io fossi al «Corriere della Sera»: «Quando me l’hanno detto ero così contento che ridevo con me stesso», ebbe a confidarmi.
La sorpresa più godibile, nelle case degli amici, erano i momenti liberi nei quali giocava con i nostri figli, lui apparentemente così severo. Raccontava storie, intrecciava dialoghi e indovinelli. C’era poi l’omelia delle liturgie domestiche a calamitare l’attenzione sulla sua capacità di parola. Parola discreta e puntuale, biblica, saporosa di vita. Così come condita di buon sale era la sua conversazione a tavola, amabile e sempre critica e mai amara. Ho conosciuto qualcosa del suo piacere di camminare nelle città e sui monti, di quello di guidare l’automobile.
In occasione della mia ultima visita a Vittorio Veneto, alla fine del 2011, volle ancora portarmi al treno guidando e stava per compiere gli 86 anni.
Del suo felice rapporto con i bambini mi ha poi parlato don Crestani, raccontandomi che da chierico faceva catechismo a Sant’Andrea, l’antica pieve (del ’300) dove tornerà a predicare per vent’anni dopo il rientro da Roma: già allora era cercato dai piccoli, perché avviava la lezione con una favola o un racconto.
E c’è una foto che lo ritrae con loro in abiti da messa, timido e arguto come poi lo conobbi e come mi è restato negli occhi.
Quest’uomo così lineare nell’obbedienza alla vocazione di prete e così amabile nell’approccio quotidiano ebbe ad affrontare una lunga depressione, a riprova che il male oscuro non fa eccezione di persone. Nel testamento, che è del 2005, dà conto di quella dura stagione: «Mentre scrivo, il Signore permette che io stia vivendo un tempo di prova spirituale: buio nella fede, e un senso di vuoto e inutilità; sono riconoscente proprio a chi
– forse senza rendersene conto – con la sua amicizia mi dà serenità.
Voglio dire anche qui un grazie al mio Angelo Custode; mia madre mi ha insegnato ad affidarmi a lui, di cui ho sempre sentito la protezione».
Segnalo la severità del riferimento alla prova che stava vivendo – “buio nella fede” – espressa insieme alla gratitudine verso gli amici e verso l’angelo custode: sono i due registri della sua vita e della sua scrittura, la severità e la tenerezza, che l’aiutavano a discutere con l’ospite più esigente e a giocare con i bambini.
Nel volumetto Grazie, Signore (che è del 2009 e che può essere letto qui, nella terza sezione dell’antologia) dice la sua festa davanti agli occhi dei piccoli, che si direbbe abbia amato di più avendo deciso di non averne: «La bimbetta, quando mi sono chinato su di lei, mi ha fatto una vivace smorfia mentre i suoi occhietti sprizzavano allegria» (Il sorriso di un bambino).
Nello stesso libretto c’è un delizioso dialogo con una nipotina che gli disegna un gatto: «Come lo vuoi? In piedi o accovacciato?
– Accovacciato» (Il disegno del gatto).

Concorda con una bambina il disegno di un gatto e discute con Dio del mistero del male. Ma anche neiDialoghi con Dio egli usa molte corde che vanno dalla confidenza all’audacia. Mi esortò a formulare così, con affidamento e con forza, la mia preghiera in occasione di un grave lutto ed è un’indicazione che guida l’intera sua interpretazione del Padre nostro (che l’antologia riporta nella sezione quarta).
Nella sua comprensione della fede cristiana, Dio è un padre al quale siamo invitati a dare del “tu” e a non tacere ogni nostro turbamento o esigenza, compresa quella della sua manifestazione: «Dicendo “sia santificato il tuo nome” gli diciamo: tocca a te manifestarti come Padre! Certo, come e quando vorrai tu, ma manifestati!» (così nel citato commento al Padre nostro).
La passione per il Padre nostro – che ognuno di noi, in Fuci, ha conosciuto – gli veniva dalla “spiritualità del Padre” che è propria dell’Unione Sacerdotale di San Raffaele Arcangelo, della quale faceva parte. Una spiritualità ispirata ai testi e all’esempio del fondatore, padre Gioachino Rossetto dei Servi di Maria (1880-1935), che pone a ideale «un contemplativo riconoscimento della paternità di Dio Padre e una presa di coscienza del rapporto filiale con Lui».
«Ci incontriamo periodicamente – si legge in un testo dell’Unione – per momenti di scambio e sostegno spirituale, pastorale e fraterno. Mettiamo al centro l’Eucaristia, fonte e culmine della nostra spiritualità e della nostra attività, impegnandoci a vivere tutta la vita come una Messa, e praticando la fraternità e la comunione dei beni». Chi ha frequentato don Mario sa quanto questa scuola l’abbia segnato e come essa costituisse l’opzione centrale della sua esistenza.
La spiritualità del Padre l’aiuta a presentare in letizia la fede cristiana, della quale pure avverte l’aspetto drammatico: «Le invenzioni dell’amore di Dio sono le verità di fede che richiamiamo
nel Credo: Dio è amore e inventa tutta una storia di interventi che sono altrettante occasioni (modalità) di comunicazione della propria volontà di amore» scrive per esempio nell’opuscolo Le invenzioni dell’amore di Dio (2012) che è un fruibilissimo commento al Simbolo degli Apostoli. Per intendere la sua intenzione di offrire una presentazione della fede in spirito di gratitudine, basterà porre mente alla parola “invenzioni” che qui sta per “meraviglie” e che don Mario genialmente prende da San Girolamo, facendo un uso nuovo di una voce antica.
Don Mario amava scrivere e conosceva la forza della sua scrittura, ma non l’ha mai piegata alla necessità di pubblicare: e infatti possiamo dire che non ha mai pubblicato nulla, almeno nel senso commerciale del termine. «Scrivo per conto mio» mi diceva nel 2009. E ancora: «Mi piace scrivere, ma chi leggerà quello che scrivo?» Queste parole le disse avendo io lodato la 12 prefazione felicità di comunicazione del libretto Divagazioni che in questa antologia riportiamo nella parte seconda. Gli avevo detto che la sua scrittura era asciutta e fresca e mi aveva detto ridendo: «Sono contento che ti piaccia».
Ero convinto – e lo sono ancora – che quel libretto fosse un capolavoro di divulgazione letteraria e mi offrii di aiutarlo a cercare un editore. Mi lasciò fare e interpellai uno che aveva pubblicato miei volumi, ma la proposta fu respinta. La lettera che scrisse per accompagnare l’invio del testo ci dice il suo animo su questo fronte che l’attirava e che temeva: «Ho il coraggio di inviarle l’unito fascicolo perché Luigi Accattoli me l’ha suggerito dopo aver parlato con lei. Ho steso e fotocopiato queste pagine
per i miei amici, che le hanno gradite, e pensano che sarebbe cosa buona diffonderle a una cerchia più larga. Adesso veda lei se sono proprio pubblicabili: non nego che mi piacerebbe, tuttavia non ci farò una malattia se la risposta è no. Per il caso di una risposta positiva, una prefazione dello stesso Accattoli mi sarebbe gradita».
Questa lettera ha la data 12 novembre 2006. Il “no” dell’editore – «non è roba che si venda» – dispiacque più a me che a lui. L’incoraggiai a continuare a scrivere e mi disse che l’avrebbe fatto ma «dipenderà dall’ispirazione». Ora, seppure dopo di lui, qualcosa di quello che aveva sperato si realizza, quanto  alla pubblicazione e persino riguardo alla mia prefazione. Ora una cerchia più vasta potrà ascoltarne la voce e fruire di una comunicazione che è avvenuta sempre e solo per “ispirazione”.

Guida alla lettura dell’antologia
Don Ermanno Crestani, Giovanni Benzoni ed io abbiamo scelto i dieci testi che qui pubblichiamo con il doppio criterio della felicità di scrittura e della rilevanza dei temi. Per esempio nella parte seconda abbiamo messoDivagazioni per la scrittura e Perche la sofferenza per il contenuto. Come nei musei sono poche le opere esposte rispetto a quelle contenute nei depositi, così i nostri dieci testi vanno letti tenendo presente il vivo bosco dal quale sono stati tagliati.
scrivendo per sé ha scritto per tutti  Abbiamo ideato le quattro sezioni per offrire al lettore una traccia che l’aiuti a muoversi in quel vivaio che don Mario ritoccava in continuità ma per il quale non ha mai progettato una presentazione d’insieme. Oltre al pubblicato, vi sarebbe molto altro che meriterebbe di d’essere conosciuto: materiali per altri due o tre volumi. È stata ventilata la possibilità di pubblicare una raccolta delle omelie. L’Unione sacerdotale San Raffaele Arcangelo ha realizzato un sito internet, www.istitutosanraffaele.
it, riservando in esso una pagina intitolata a “Don Mario Albertini” che renda accessibili tutti i testi che ha lasciato.
L’impegno di don Mario scrittore si estendeva ad altri ambiti rispetto a quelli che abbiamo preso in esame per questa antologia, tanti essendo gli ambienti nei quali ha lavorato e anche scritto: noi fucini ricordiamo gli articoli che firmava per il quindicinale «Ricerca». Il sito potrà accogliere quanto si riuscirà a recuperare.
Vasto è l’insieme dei files con omelie: il ciclo completo degli anni A B C per le domeniche e le feste, con molti doppioni per le feste più importanti; ci sono inoltre una trentina di omelie per confratelli, sorelle del ramo femminile dell’Unione e amici defunti. Per tutta la sua vita da prete fu un omileta apprezzato, ma il corpus delle omelie l’ha sistemato nella memoria del computer nel triennio 2008-2010.
Ancora più vasto – per contenuto in battute – è il settore degli scritti sui Vangeli e sul Nuovo Testamento: disponiamodi files intitolati Atti cc 1-10,Filippesi, Efesini, 1Giovanni, Alla scuola di Gesu, Beati, Dacci oggi. Sono testi maturati nei decenni, rivisti e sistemati negli anni 2004-2008.
Vi sono ancora suoi lavori su temi di liturgia e di pietà: La Messa per la vita (2 redazioni: 1999, 2008),Piccolo catechismo liturgico, La via della Croce, Il Rosario.  E diari dei viaggi in Russia (1963, 1967, 1993) e in America Latina (Brasile 1968, Cile e Perù 1987).
Infine dirò del titolo che abbiamo dato al volume: Ho messo dell’amore in tutto questo, che è preso dal testo di apertura dell’antologia, Uno sguardo alla mia vita, dove quest’espressione ricorre tre volte con leggere varianti: «Sì, nella mia vita ci ho messo dell’amore: per svolgere i miei impegni, per coltivare le relazioni che ne derivavano, per voler bene nelle nuove amicizie ».
Sono stato felice di leggere che all’indomani della depressione il mio – il nostro – don Mario abbia potuto scrivere righe così intense, così grate. Quelle parole ce lo restituiscono – dopo la tempesta – come un fratello che molto ha vissuto avendo sempre a criterio la “paternità di Dio” e la fraternità con gli uomini; dedicando ogni giorno della vita a intendere e a far conoscere «la verità più bella e importante», come la chiama in quello stesso testo autobiografico: che «Dio mi ama perché lui è l’Amore». Questo è stato il suo modo di essere apostolo, cioè di farsi tutto a tutti senza invadere nessuno, neanche per un momento.

Luigi Accattoli

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