don Severino Marchesini

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Lug 162014
 

don Severino Marchesini

(Testimonianza di  don  Francesco Dal Cin)

Nato 16 giugno 1919 a Vestenanuova (Verona)
Ordinato 24 giugno 1943 a Vittorio Veneto
Morto 16 agosto 2004 a Roma

In data 1 ottobre 1996 don Severino lascia uno scritto, stilato di suo pugno, dove ci da’ conto in breve delle tappe principali della sua vita. Lui stesso lo definisce il suo “curriculum vitae”.
A premessa di quanto stende, cita il salmo 112,3; e  forse, senza saperlo, ci offre così il migliodon Severino Marchesinir profilo della sua identità spirituale:  “Dall’alba  del sole sino al tramonto lodate il nome del Signore”.
Possiamo dire che la sua vita è stata davvero,  “in Gesù con Gesù e per Gesù” una lode al Padre celeste.

Don Severino Marchesini nasce nel comune di Vestenanuova, in provincia di Verona il 16 giugno 1919 da papà Sisto e da mamma Augusta Rossetto.
La famiglia si sposta, quasi subito, precisamente nel 1923, a Brendola in provincia di Vicenza.
Questa nuova residenza, egli la considererà sempre, il suo vero paese e qui desidererà essere sepolto.
Nel 1930, giovanissimo, sente il desiderio di farsi sacerdote, e la Provvidenza gli fa incontrare a Monte Berico (Vicenza) p. Gioachino Rossetto, che lo accoglie a Vittorio Veneto, dove è situata “Casa Pater”, da lui aperta nell’ottobre dell’anno prima. E così don Severino sarà tra i primi sacerdoti a seguire la spiritualità di p. Rossetto.
Presso il Seminario di Vittorio Veneto compie tutti i suoi studi (ginnasio, liceo, teologia) e viene ordinato sacerdote il 24 giugno 1943 dal vescovo ausiliare di allora, Mons. Costantino Stella.
Per dieci anni svolge il suo ministero in diocesi di Vittorio Veneto con diversi incarichi  Da assistente di Azione Cattolica, a predicatore di Corsi di Esercizi Spirituali, da predicatore di Missioni al popolo, a Insegnante di religione in scuole private, ecc…
In questo primo periodo della sua vita di sacerdote, gli viene chiesto, soprattutto, di accompagnare nel loro cammino vocazionale verso il sacerdozio i ragazzi della “Unione Sacerdotale San Raffaele Arcangelo”. E allora il gruppo in cammino di formazione era di oltre una trentina di giovani, dalla Prima Media alla Quarta Teologia: viveva a Casa Pater e frequentava la scuola in Seminario..
Quanti in quel tempo hanno avuto modo di avere don Severino come “animatore”, lo ricordano ancora con tanto affetto, gratitudine e riconoscenza.
Egli, a detta di tutti, era padre e fratello. Non dimentichiamo che siamo negli anni cinquanta, molto prima del Concilio Vaticano 2° e prima degli anni della contestazione…

Nel 1953, in luglio, don Severino parte per Roma, in obbedienza al vescovo diocesano di allora, mons. Giuseppe Zaffonato,  in accoglienza all’appello di Pio XII alle diocesi d’Italia più fornite di clero perché inviassero sacerdoti nella diocesi romana, in quelli anni, in forte espansione demografica e carente di clero.
Fu quindi tra i primi a realizzare per la nostra diocesi l’aiuto e la collaborazione tra le chiese sorelle, poi sviluppatosi molto con i sacerdoti “fidei donum”.

A Roma esercita il suo ministero sacerdotale come viceparroco prima nella parrocchia di Santa Lucia (circonvallazione Clodia), poi nella parrocchia di Santa Maria Stella Mattutina, fino al 1960, anno in cui viene nominato parroco di San Giovanni Crisostomo in zona di Monte Sacro Alto.
Si trattava di una parrocchia nuova, allora in periferia, senza chiesa, senza canonica, senza opere parrocchiali. Tutto da costruire con pazienza e costanza: La chiesa parrocchiale sarà per anni un garage.
Nel 1969 con grande gioia don Severino potrà inaugurare la nuova chiesa parrocchiale con tutte le opere annesse.
Nel 1993, anno del cinquantesimo del suo sacerdozio, da’ le dimissioni da parroco, e si ritira in un appartamento, di proprietà del Vicariato di Roma, sito in via Nomentana, mettendosi con grande generosità a disposizione dei parroci circostanti per qualunque richiesta di carattere pastorale fino al 16 agosto 2004, quando serenamente chiude la sua giornata terrena per ritornare alla casa del Padre celeste.

Questa, in brevi cenni, la sua vita. Ma per cogliere la ricchezza della sua figura spirituale merita aggiungere ancora qualche riga.
Nel misterioso disegno della Provvidenza, don Severino ha avuto la fortuna di incontrare, come si è accennato sopra,  padre Gioachino Rossetto, grande testimone e missionario dell’amore del Padre celeste; da lui ha appreso quella spiritualità che informerà  la sua vita e il suo ministero.
“Egli è stato tra i primi ad aderire a quella Famiglia spirituale, costituita da una Unione sacerdotale e da un Istituto Secolare Femminile, Famiglia che – secondo la spiritualità di p. Rossetto – vuole avere appunto un contemplativo riconoscimento della Paternità di Dio e una presa di coscienza del rapporto filiale con Lui”
In questa spiritualità è cresciuto ed è vissuto don Severino; e alla diffusione di questa spiritualità ha messo a disposizione la sua vita, le sue doti e le sue forze  con la predicazione e con il sacramento della riconciliazione che ha esercitato fino agli ultimi giorni della sua vita.
Far conoscere, come ha fatto Gesù, il nome del Padre, è stato il desiderio che lo ha animato sempre e con tutti, memore delle parole di p. Rossetto: ”Un nome troppo dimenticato, troppo sconosciuto, ma il solo dato a noi come conforto dallo stesso Figlio di Dio, l’unico che lo poteva dare”.
Don Severino – lo testimoniamo quanti gli sono stati vicino –  ha cercato sempre di vivere da vero figlio di Dio, sull’esempio di Gesù.
E questa spiritualità “filiale” – che porta di conseguenza alla ricerca, spesso faticosa, di una concreta, vera e autentica “fraternità” – ha caratterizzato anche i suoi rapporti con tutti, con i confratelli dentro la  Famiglia, con le Sorelle, con i sacerdoti, con i collaboratori e con i laici, con cui egli sapeva relazionarsi molto bene, con sapienza e da autentico fratello.
Un suo confratello a conferma di una fraternità cercata e vissuta da don Severino, testimonia: “Era straordinario nella ospitalità, accogliente, attento sempre a creare un clima sereno; sopra tutto, era l’uomo del dialogo. Però non gradiva i cambiamenti repentini o le prese di posizione dirompenti, motivo di incomprensioni, di divisioni e di chiusure”.

Sicuramente, don Severino ha amato la nostra Famiglia e quella Spiritualità vissuta e trasmessa a lui, ancora giovanissimo, da padre Rossetto…
Chiudo ricordando che egli coltivava grande venerazione per “il padre”, unita a filiale gratitudine. Quando occasionalmente si parlava con lui di p. Rossetto – tolto troppo presto alla Famiglia a cui aveva dato vita – era felice di poter dire  di averlo conosciuto, di aver ascoltato le sue meditazioni sulla Paternità di Dio, soprattutto di aver potuto gustare la carica di amore che “il padre” esprimeva quando  toccava  la verità  di Dio-Padre  che Gesù è venuto a portare e a insegnarci a vivere.
Per quanti l’hanno conosciuto don Severino rimane una icona di autentico sacerdote vissuto in comunione con tutti per la lode del Padre.

don Florindo Nicoli

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Lug 162014
 

don Florindo Nicoli
(Testimonianza di don Noè Tamai)

Nato 20 febbraio 1930 a Maragnole di Breganze (Vi)
Ordinato 20 giugno 1954 a Vittorio Veneto
Morto 16 aprile 2006 a Vittorio Veneto

Ricordare le persone care che ci hanno lasciato dopo tanti anni vissuti insieme, e ricordare quello che hanno fatto e come sono vissute, è motivo per sentire meno il peso del distacco, la tristezza per la loro separazione e, più ancora, è motivo di sprone e don Florindo Nicolidi incoraggiamento per vivere i begli esempi che ci hanno offerto e che sono rimasti vivi nella nostra memoria.
Questo per me è vero nei confronti di don Florindo, mancato oltre quattro anni fa; con lui ho vissuto, più o meno vicino , per 63 anni; prima nel momento della nostra preparazione al sacerdozio, poi come sacerdoti nella fraternità della nostra Famiglia spirituale e nell’apostolato.
I ricordi che ho di lui sono tanti e di vario genere, che suscitano in me sentimenti diversi. Ne accenno soltanto a qualcuno.
Io sono entrato a Casa San Raffaele la Domenica, Ottava di Pasqua, del 1943, portato da papà in bicicletta da Silea di Treviso, dove la mia famiglia risiedeva. Tra le persone che sono venute ad accogliermi, oltre i sacerdoti e le sorelle di Casa San Raffaele, ricordo che mi è venuto incontro Florindo, che si trovava già in casa da un anno…Mi ha colpito subito la sua statura, era alto già allora!, e i suoi calzoncini corti, di fronte a me, piccolino, che portavo i calzoni alla zuava …; ricordo che ero molto impacciato in quel momento…; lui, tutto sorridente, dopo avermi dato il benvenuto, mi presentò gli amici, tra i quali, c’era anche un certo Agostino Lazzaro, ora Frate Francescano Missionario; mi portò quindi a visitare la Casa, e poi insieme siamo andati a giocare.
Ricordo molto bene gli anni trascorsi con lui da studente, dal 1943 al 1954, anno della, sua ordinazione sacerdotale. Lo rivedo sempre sereno e allegro; si commuoveva soltanto quando parlava della sua famiglia, a cui era molto legato; non si arrabbiava quasi mai, e quando capitava, era di breve durata. Ho ancora presente quando in ricreazione si giocava a pallavolo: Florindo occupava il posto che meglio si addiceva alla sua “alta statura”… A scuola era considerato uno “sgobbone”; ordinalo, impegnato, sempre in ordine con i suoi doveri scolastici. Qualche professore godeva scherzare sul suo nome e cognome, chiamandolo “Flos de flore” o, per ricordare il suo cognome (Nicoli), storpiava la scritta che diceva: “Funicolare d’ Orvieto” in “Fu Nicola re d’Orvieto”…Erano queste le battute con le quali si scherzava anche in Brasile, negli anni che abbiamo vissuto insieme in Missione. Anch’io lo chiamavo qualche volta “Flos”, e lui si godeva, ricordando forse i bei tempi giovanili….Questo comportamento era indice del suo carattere di persona serena, allegra, facile alla battuta, per cui la sua compagnia era sempre gradita; si stava volentieri con don Florindo.
Subito dopo la sua Ordinazione don Florindo, passò un paio d’anni a Roma, perfezionando i suoi studi teologici all’Università Lateranense e fermandosi poi a lavorare in parrocchia insieme con don Severino a San Giovanni Crisostomo, fino alla partenza per il Brasile. Insieme siamo stati i primi missionari della nostra Famiglia spirituale.
Devo dire che nelle sue varie attività pastorali don Florindo ha mostrato sempre una particolare attenzione e predilezione per i giovani; gli è sempre stata a cuore la loro formazione religiosa e civile.
In Brasile, dove ha lavorato con me nella formazione dei giovani in seminario, prima come assistente e poi come padre spirituale, ha lascialo ricordi molto belli in chi ha avuto modo di godere del suo aiuto spirituale. Alcuni di quei giovani che lui ha accompagnato in seminario allora, pur a distanza di tanti anni, in occasione della sua morte, si sono fatti presenti con espressioni di profondo cordoglio e, come segno di riconoscenza, con promessa di preghiere per lui.
Rimanendo ancora alla esperienza vissuta con lui in Brasile, mi viene in mente un “bel ritratto” di don Florindo espresso proprio dai giovani seminaristi, che lui seguiva con molta cura e attenzione. Così un giorno lo definirono: Don Florindo è :”altào… careeào…bonitào” cioè “molto allo,… molto calvo,… molto buono!!!'”…In questo modo, avevano messo bene in risalto “il bello e il buono” che don Florindo era stato per la loro formazione umana, morale e spirituale.
Durante tutto il tempo trascorso con lui in missione l’ho visto molto triste, e questo per diverso tempo, soltanto in una occasione: la disgrazia di due seminaristi annegati durante una passeggiata pomeridiana in un laghetto dove erano soliti prendere il bagno. E’ stato per lui un evento dolorosissimo che lo ha scosso profondamente perché non riusciva a rendersi conto di come potesse essere accaduto un fatto così grave.
Don Florindo è stato fedele ai suoi impegni di sacerdote e di parroco; mi ricordo, soprattutto, la sua meticolosità nel preparare le celebrazioni liturgiche; non lasciava mai nulla alla improvvisazione.
Ritornato in Italia, dopo il suo servizio in missione, svolse il ministero prima come vice parroco a san Giacomo di Veglia, poi come parroco a Godcga Sant’Urbano e a Sarmede, lasciando sempre tra le sua gente bei ricordi ed espressioni di tanta gratitudine per il bene sparso e per l’esempio di pastore buono e di vero maestro di vita.
Ancora relativamente giovane la sua salute divenne piuttosto precaria e don Florindo si dovette ritirare presso la Casa di Riposo “Madonna di Lourdes”, in Conegliano. Nel frattempo subì anche un grosso intervento dopo il quale ritornò a Casa San Raffaele (Vittorio Veneto), che lui era solito chiamare: la mia Casa!!!
Accettò con serenità i limiti imposti dalla malattia; seppe offrire con grande generosità al Signore le sue sofferenze.
Nel periodo che visse in Casa di Riposo a Conegliano, gli facevo visita con una certa frequenza e confesso che, con mia grande edificazione, lo trovavo quasi sempre o con il Breviario aperto sul tavolo del suo studiolo o con la corona del rosario in mano; dalla preghiera attingeva la forza necessaria per fare la volontà del Signore. Non è stato facile nemmeno per lui vivere sulla propria pelle il “Pater Fiat” insegnatoci nel corso della nostra formazione, punto cardine della nostra spiritualità. Mi ripeteva spesso: “don Noè, bisogna provare per credere”. Così si esprimeva, mostrandoci il suo mondo interiore e il peso della croce che si era posata sulle sue spalle. Leggevo le sue parole come una richiesta di aiuto per poter portare a compimento quanto il Padre del cielo aveva disposto per lui. La sua vicenda terrena, iniziata il 20 febbraio 1930 a Maragnole di Breganzc –VI, si è conclusa il 16 aprile 2006 a Casa san Raffaele; si apriva così la sua vita in cielo. E’sepolto nel cimiero di Maragnole.
Don Florindo, io lo ricordo con affetto e ammirazione; lo sento ancora vicino e presente; mi rimane di esempio e di sprone per un cammino sempre più impegnato a vivere quella spiritualità che abbiamo vissuto per tanti anni insieme: Fratelli nella Famiglia dei figli di Dio. Egli è stato un vero Sacerdote Adoratore e Missionario.
A lui, sono certo, il Signore ha rivolto le parole che troviamo scritte nel Vangelo: “Servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, entra nel gaudio del tuo Signore”.

don Narciso Dassiè

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Lug 162014
 

don Narciso Dassiè
(a cura di don Mario Albertini)

Nato 25 luglio 1923 a Lutrano di Fontanelle (Treviso)
Ordinato 20 giugno 1948 a Vittorio Veneto
Morto 7 maggio 2009 a Vittorio Veneto

Dati cronologici:
Nato a  Lutrano di Fontanelle (TV)   il  25 luglio 1923; entra a  Casa s. Raffaele (Vittorio Veneto) nel settembre del 1936; compie gli studi ginnasiali, liceali e teologici presso il Seminario Vescovile. Viene ordinato sacerdote il 20 giugno 1948 dal Vescovo mdon Narciso Dassièons. Zaffonato.
Ha conseguito la licenza in Diritto Canonico nel 1950, e la laurea in scienze sociali nel 1953.
Ha concluso la sua vita terrena il 7 maggio 2009.

Principali incarichi svolti in diocesi:
E’ stato responsabile della Pontificia Opera Assistenza e della Caritas.
Insegnante nel seminario diocesano di: sociologia, diritto canonico, spiritualità.
Vice assistente diocesano della Gioventù Femminile A.C.
Difensore del vincolo nel Tribunale ecclesiastico triveneto, e Cancelliere vescovile (1990-96).
Inoltre ha collaborato a Famiglia Cristiana su aspetti sociali del mondo agricolo, e con la scuola di agraria di Colle Umberto.

Nell’Unione Sacerdotale  s. Raffaele:
E’ stato diverse volte membro del Consiglio centrale e vicedirettore della stessa.
La sua maggiore attività, svolta con amore e competenza, è stata in ordine alla valorizzazione della spiritualità “filiale” trasmessa da padre Gioachino Rossetto, fondatore della Famiglia delle Figlie di Dio e dell’Unione sacerdotale. Così:
ha riordinato e schedato gli scritti di p. Rossetto per l’archivio di casa (lavoro non facile);
ha scelto e presentato in appositi fascicoli ciclostilati diversi scritti di p. Rossetto, in particolare il quaderno “carità”, il diario spirituale;
estraendo dalle diverse fonti (lettere, meditazioni, scritti vari…) ha presentato i fascicoli “consacrate a Dio nel mondo”, “sacerdoti figli di Dio”, e altri;
ha collaborato in maniera determinante alle edizioni stampale degli scritti di p: Rossetto: “Silenzio”, “Ti rendo lode, o Padre”, “Maria, figlia prediletta del Padre”.

CENNI SULLA SUA FIGURA

Il fatto che abbia svolto attività in campi anche diversi rende difficile definire la personalità di don Narciso. Tuttavia risultano chiare, nella sua vita di sacerdote, due componenti apparentemente lontane, che lui ha saputo coniugare bene: una spiritualità convinta, e un’attenzione al sociale.
Le caratteristiche della sua spiritualità le ha tratte soprattutto dalla conoscenza degli scritti di padre Rossetto, da lui studiati e spesso anche commentati (come risulta da quanto detto sopra), e le ha coltivate nella preghiera e nell’approfondimento della parola di Dio. E ha saputo trasmetterla: ha suscitato e guidato vocazioni alla vita consacrata, e in questo è stato di grande aiuto all’istituto femminile san Raffaele, Famiglia delle Figlie di Dio.
L’attenzione al sociale si manifestò in lui, ancora studente in Seminario, non appena la caduta del fascismo rese possibile la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa. Fu allora che cominciò a studiare le opere del Tomolo, di cui si sentì discepolo, e altri testi di sociologia. I1 Vescovo mons. Zaffonato, visto questo suo interesse, lo inviò a Roma a frequentare i corsi dell’università internazionale “Pro Dco” per gli studi sociali, dove si laureò con la tesi: “I problemi del lavoro nel pensiero degli uomini politici dal 1900 al 1914”. Sul campo sociale si è impegnato non soltanto negli studi e nell’insegnamento ma anche in varie concrete collaborazioni (come già accennato).

Purtroppo la salute fisica di don Narciso non è mai stata forte; anche negli anni giovanili soffriva spesso di forte emicrania. Questo non gli ha impedito però di applicarsi negli studi, sempre con buoni e anche ottimi risultati.
Negli ultimi anni un progressivo indebolimento fisico lo ha costretto all’inattività; gli rimase l’offerta della sofferenza e la fedeltà alla preghiera. Le sue ultime parole, appena sussurrate, furono: Gesù, Gesù…

Una Testimonianza di don Egidio Menon
Vorrei esprimere la mia ammirazione per don Narciso e per quanto ha fatto sia per noi che per le Sorelle: dobbiamo molto a lui e al suo sforzo di sistemare e trasmettere gli scritti del Padre, e quindi la spiritualità della nostra Famiglia. Lo rivedo con le sue “cartette” in mano, quando ci trasmetteva testi del Padre al ritiro mensile! E lo ricordo anche in visita a Sao Mateus, in Brasile: anche là ha aiutato sia noi che le Sorelle ad essere fedeli alle intuizioni del primo missionario della nostra Famiglia, appunto P. Rossetto“.

don Angelo Zanardo

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Lug 162014
 

don Angelo Zanardo

(Testimonianza di don  Francesco Dal Cin)

Nato 1922 a Mareno di Piave (Treviso)
Ordinato 1945 a Vittorio Veneto
Morto 14 maggio 2011 a Vittorio Veneto

Al termine della Messa esequiale di don Angelo, celebrata nella chiesa parrocchiale di sant’Andrea ( Vittorio Veneto con la partecipazione di un bel numero di sacerdoti, e presieduta dal vescovo mons. Corrado Pizziolo, il Fratello Responsabile della Famiglia si rivolgeva ai presenti con queste parodon Angelo Zanardole, che, mi pare – illustrano molto bene il suo profilo e la sua opera di sacerdote:
“Nel momento in cui don Angelo sale al Padre, verso il quale ha vissuto sempre con confidenza, fiducia, e pronta disponibilità, la Comunità sacerdotale di san Raffaele sente di dovergli viva riconoscenza per l’esempio di dedizione sacerdotale e fraterna; e in particolare per la sua attività di Responsabile della formazione spirituale di molti giovani da lui avviati al sacerdozio, e anche del servizio offerto come Responsabile dell’Unione Sacerdotale.
Porto pure qui, ora, la riconoscenza della comunità cristiana e civile di Aprilia, che egli ha servito per decenni assieme a un Gruppo di Confratelli di san Raffaele. Questa comunità apriliana lo ricorda con stima e affetto per le sue doti di umanità e di spirito di servizio senza riserve in modo tutto speciale a favore dei giovani.”

La sua vita:
Don Angelo nasce a Mareno di Piave nel 1922, località che la sua famiglia lascia quasi subito dopo la sua nascita, per trasferirsi a Scomigo.

Entra nel 1935 a Casa San Raffaele, a “Casa Pater” come si chiamava allora; compie tutti gli studi nel Seminario diocesano di Vittorio Veneto e viene ordinato sacerdote da mons. Giuseppe Zaffonato, nel 1945.
Esercita il suo ministero in diocesi di Vittorio Veneto per vent’anni, fino al 1965, con diversi incarichi: è insegnante di Italiano, latino e francese in seminario; cappellano festivo nella parrocchia di Sant’Andrea, e presso le suore Antoniane qui in città, assistente diocesano degli “Aspiranti” di Azione Cattolica, formatore-responsabile dei giovani che si preparano al sacerdozio all’interno dell’Istituto San Raffaele.
Nel 1965, l’obbedienza gli chiede di lasciare Vittorio Veneto e di andare ad Aprilia (Lt): una cittadina alle porte di Roma,  sorta con la bonifica pontina alla vigilia della seconda guerra mondiale, situata in diocesi di Albano (Roma), dove esercitavano già da una decina d’anni il loro ministero altri confratelli di Casa San Raffaele.
Qui don Angelo è chiamato a dirigere un Centro di Addestramento professionale, scuola di avviamento al lavoro in fabbrica, allora tanto necessario per i giovani provenienti da ogni parte del Sud dell’Italia, privi quasi sempre anche di un minimo di preparazione.
“Lo dirigerà per decenni con una grande capacità educativa, continuando a prendersi cura dei giovani anche dopo la scuola, aiutandoli a trovare lavoro e seguendoli nell’inserimento della esperienza lavorativa”.
Terminato il suo servizio pastorale come responsabile del Centro di Addestramento, don Angelo è nominato Parroco di una delle nuove parrocchie della città di Aprilia, quella dei “Santi Pietro e Paolo”, che egli dirigerà fino a quando, per motivi di salute, dovrà lasciare, dedicandosi al ministero delle confessioni, che “amava e viveva con grande disponibilità”, apprezzato e stimato da quanti potevano godere della sua paternità spirituale.
Nel 1998 ritorna a Vittorio Veneto, a Casa Pater, dove vive i suoi ultimi anni, esercitando ancora con tanta disponibilità il ministero delle confessioni, e poi vivendo la stagione della malattia, della immobilità e della sofferenza con serenità e fiducia filiale nel Padre celeste fino  alla sua morte che lo coglie il 14 maggio 2011.

Che cosa ha caratterizzato don Angelo?

“Dalle testimonianze che ho avuto, diceva il vescovo nella omelia funebre, mi pare che si possa dire che proprio quella formativa è stata la dimensione che maggiormente ha caratterizzato la sua vita sacerdotale sia nei lunghi anni di insegnante in Seminario a Vittorio Veneto, sia come formatore dei Seminaristi dell’Istituto San Raffaele, sia nella Scuola professionale di Aprilia; sia infine nel suo ruolo di parroco e nel ministero della Confessione, a cui si è sempre dedicato con fedeltà e in Aprilia e nella sua permanenza a Casa San Raffaele.

Posso dire che davvero don Angelo è stato formatore rigoroso ed esigente. Con se stesso anzitutto, e anche con gli altri.
Ma questa rigorosità era dettata e guidata da un grande affetto e da una grande fiducia nelle persone.
Eco di quell’amore e di quella fiducia di Dio Padre, di cui Gesù parla nel vangelo:  “Questa è la volontà del Padre che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato.”

Don Angelo era pervaso della devozione verso il Padre. Una devozione che ricorreva con insistenza nella sua predicazione e nell’intero suo ministero.

E proprio questo spiega, a mio avviso, anzitutto quel tratto di serenità che l’ha sempre accompagnato nella sua vita e, come ho ricordato, ha caratterizzato in modo particolare la fase ultima della sua esistenza: sereno perché totalmente fiducioso e affidato alla Provvidenza paterna del Padre: “io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre”.(salmo 131).
Ma anche il fondamento della sua sensibilità formativa si può individuare proprio nella sua esperienza della paternità di Dio.
Una esperienza quella di don Angelo, che ha recepito profondamente la parole di Gesù: “Questa è la volontà del Padre che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato”.
Don Angelo si è impegnato perché nessuno si perdesse di quanti ha incontrato nel suo ministero.
Per questo ha lavorato con grande serenità, ma anche con grande impegno e rigorosità.
Per questo ha pregato soprattutto negli ultimi anni della sua vita, quando la malattia ha drasticamente limitato la sua possibilità operativa.
Ora ha terminato la sua giornata terrena di lavoro nella vigna del Signore.
Il Padre lo accolga nel suo regno e lo stringa in un abbraccio eterno, premio di tante fatiche e di tanto amore che don Angelo ha mostrato nella sua vita interamente donata a Lui e ai fratelli.
E preghiamo perché le comunità cristiane possano godere sempre di ministri di tale caratura.

don Luigi Fossati

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Lug 162014
 

don Luigi Fossati

(a cura di don Francesco Dal Cin)

Nato 28 febbraio 1939 a Francenigo (TV)
Ordinato 29 giugno 1963 nella Chiesa di Pianzano
Morto 19 gennaio 2012 a San Giacomo in Nettuno

Tappe principali

02 Scan0002 don luigi fossati nettuno 22.12.1996 2Nato il 28 febbraio 1939 a Francenigo (TV)
Nell’ottobre del 1950 entra a Casa San Raffaele
1950-1963: studi  nel Seminario di Vittorio Veneto
Ordinato il 29 giugno 1963 nella Chiesa di Pianzano (TV) da mons. Albino Luciani, Vescovo di Vittorio Veneto
Direttore della Casa dello Studente e Insegnante di Religione al Collegio “Dante” di Vittorio Veneto
68-70: Studi all’Università  Gregoriana di Roma
1970 collaboratore a S. Michele in Aprilia
1983 parroco di San Michele in Aprilia
1996 parroco di San Giacomo in Nettuno
Morto il 19 gennaio 2012 a San Giacomo in Nettuno

E’ nato a Francenigo (Tv) il 28/02/1939 da  una famiglia piuttosto numerosa, secondogenito di sei figli, da una mamma e da un papà profondamente credenti.
Il Signore gli ha fatto dono di una intelligenza armoniosa; infatti negli studi avrà sempre ottimi risultati.
Nell’autunno del 1950 entra con l’intenzione di farsi sacerdote a Casa San Raffaele (Vittorio Veneto), dove inizia il cammino di formazione.
Compie tutti i suoi studi presso il Seminario Diocesano, e viene ordinato sacerdote il 29 giugno 1963 insieme ai suoi compagni di classe da mons. Albino Luciani, allora vescovo della nostra diocesi.
All’inizio degli studi di Teologia, nel 1959, era stato visitato dal male e dovette passare alcuni mesi in Sanatorio a “Villa delle Rose” di Vittorio Veneto. Da quella esperienza uscirà “purificalo come l’oro nel crogiolo” e “maturato” dal contatto con un mondo di dolore e, a quel tempo, di emarginazione: Ne uscirà comunque sereno, e ancor più deciso a offrire la sua vita per i fratelli che soffrono e per gli ultimi della società.
Per aver perduto un anno di scuola ( lui diceva: mi mancano i fondamenti della teologia!!!), sentirà l’esigenza di frequentare a Roma per due anni l’Università in modo da completare al meglio i suoi studi teologici.

Da Vittorio Veneto ad Aprilia
I suoi primi anni da sacerdote li vive in servizio alla  Diocesi di Vittorio Veneto, dove, tra gli altri impegni che gli vengono assegnati, ricopre anche quello di Direttore della Casa dello Studente e di Insegnante di religione al Dante: incarichi che gli danno modo di accostare e stringere amicizia con molti giovani.

Obbediente al vescovo e ai responsabili della sua comunità spirituale – don Luigi sceglie di far parte della Famiglia dei Sacerdoti di Casa San Raffaele -, agli inizi degli anni ‘70 lascia la diocesi di Vittorio Veneto e va ad Aprilia, una cittadina in diocesi di Albano, alle porte di Roma, dove si trovavano già altri sacerdoti di Casa san Raffaele, ai quali era stata affidata la parrocchia fin dal 1956 nell’ambito dell’iniziativa Fidei donum.
Qui, prima come viceparroco e poi dal 1983 come parroco di quella comunità, don Luigi darà il meglio di sé.
Negli anni ‘70/80 Aprilia, con i suoi 50.000 abitanti, era una parrocchia in formazione e in continua crescita, con la presenza di etnie le più diverse, con i problemi di un territorio divenuto terra di immigrazione nazionale e internazionale.
Qui don Luigi, assieme ai suoi Confratelli ( fra i quali don Angelo, don Clemente, don Aldo, Don Tonino, presentati in questo fascicolo), cercherà in tutti i modi di realizzare con gesti concreti una comunità cristiana animata dall’amore del Padre celeste, che alla scuola di Gesù, è attenta ai bisogni materiali e spirituali di quanti arrivavano in cerca di migliori condizioni di vita.

Nella Parrocchia di San Giacomo di Nettuno
Nel 1996 il vescovo di quella diocesi gli domanda di lasciare Aprilia per prendersi cura della parrocchia di San Giacomo, una  parrocchia  che si stava formando alla periferia di Nettuno.
Don Luigi, confidando nella grazia del Signore, si mette all’opera cercando di costruire, prima che delle strutture murarie, una comunità di fratelli in Gesù, lavorando nel campo della catechesi ai ragazzi, sempre attento agli ultimi, ai poveri, agli extra comunitari, a coloro che la società civile spesso dimentica o finge di non vedere.
Eppure accanto a questo, a San Giacomo come ad Aprilia, ha sempre curato con intelligenza e profusione di energie le chiese in cui svolgeva il suo ministero, adornandole come una sposa e dotandole degli strumenti opportuni.
Si è impegnato con inventiva e pochi mezzi nel favorire l’apertura di ambienti decorosi a disposizione della gioventù e degli incontri della gente.
Ha sempre cercato che nelle celebrazioni dei Sacramenti  e anche nei riti tradizionali si evitassero formalismi, sprechi  e abusi, e vi ha inserito innovazioni e simbologie che le rendessero vivi  e significativi per la vita

Riflessioni di un amico sulla personalità di don Luigi
Penso che da amico don Luigi mi permetta di  fare alcune riflessioni, che riferisco a me e che offro a chi lo desidera.
Come attestano tutti coloro che lo hanno conosciuto, Luigi ha sempre badato poco alle forme: ciò che lo interessava era la vita delle persone e la sostanza delle cose…
Credeva ed è vissuto nella fraternità, quella che domanda diakonia, “servizio” e “grembiule”, il grembiule di ci si è cinto Gesù per lavare e asciugare i piedi dei discepoli…
Don Luigi coltivava l’amicizia: egli è stato amico vero con tutti, anche con quelle persone con cui non condivideva atteggiamenti e scelte, sempre presente nei momenti difficili degli amici.
Amava la cultura, le cose belle e ha cercalo sempre di essere all’altezza del suo compito di pastore, tenendosi aggiornato sia nel suo campo specifico, sia “nelle realtà del mondo laico”: il mondo del lavoro, la scuola, i problemi sociali, la politica, l’economia….
Scriveva molto bene. I suoi articoli su “Comunità Parrocchiale “( il giornale che per tutti gli anni in cui ha servito la città di Aprilia faceva uscire ogni mese), erano sempre aggiornati, concreti, capaci di entrare nei problemi reali della comunità cristiana e della città, aprendo dibattiti talvolta accesi, che influenzavano la mentalità della città e della Chiesa:.
Le sue omelie lasciavano trasparire tutto il suo zelo di pastore e il suo continuo tentativo di incarnare la fede nelle realtà concrete e nei problemi del territorio, in cui il Signore lo aveva posto come pastore

Con il suo stile di vita, con i suoi colloqui personali, la sua catechesi, i suoi scritti ha coinvolto e avvicinato (a Dio) anche laici e non credenti.
Profondamente convinto della necessità di “incarnare” la fede,  personalmente cercò sempre e visse “il distacco” dal potere e dal denaro.
Non perdeva occasione nelle sedi opportune con insistenza e passione di dire che la Chiesa per essere credibile ha necessità di mostrare maggiore sensibilità verso i poveri e un distacco pieno dai poteri politici ed economici,  una Chiesa povera e senza compromessi.
Don Luigi non soltanto ha amato i poveri, e ha sognato una Chiesa più evangelica, ma -cosa molto più difficile – con coerenza ha amato ed ha vissuto la povertà, come si coglie dal suo tenore di vita (io credo che don Luigi non abbia mai comperato un vestito nuovo o un paio di scarpe in tutta la sua vita) e dall’austerità della sua casa canonica in cui ha abitato gli ultimi sedici anni della sua vita come parroco di san Giacomo in Nettuno.
E qui, dopo aver dato tutto, intelligenza, cuore, salute, nella notte il 19 gennaio 2012, in silenzio, senza disturbare nessuno, don Luigi fa ritorno alla casa del Padre.
Da vero servo buono e fedele muore al suo posto di lavoro.

Ha speso  tutta la sua vita per l’ideale scelto: essere, alla scuola di Gesù, sacerdote, missionario dell’amore di Dio Padre.