don Aldo Bellio

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Lug 162014
 

don Aldo Bellio
(Testimonianza di Don Luigi Fossati)

Nato 7 dicembre 1942  a Silea (Treviso)
Ordinato 25 giugno 1967 a Vittorio Veneto
Morto 1 settembre 1990 all’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale

Nato nel ’42, è morto a quarant’otto anni.
Nella Comunità parrocchiale e nella città di Aprilia ha lascialo un ‘vuoto’ che non è stato più colmato.
Non so quanto nel vivere il suo sacerdozio Aldo proclamasse a parole o negli scritti la paternità di Dio. Sono certo che testimoniò tantissimo nella sua vita privata e pubblica la don Aldo Belliofraternità con gli ultimi, con i piccoli e con i bisognosi, con il Territorio che l’ospitava. Letteralmente ‘tutta’ la sua vita di prete fu a loro servizio. Beata la moglie che trova un marito che le dona altrettanto intensamente la sua vita.
Un ricordo particolare. Alle sette del mattino, la salma di don Clemente era stata affidata al carro-funebre che, da Aprilia, l’avrebbe portata a Soligo, per le esequie in paese con i famigliari Cietto e con i conoscenti. Nella casa-canonica di San Michele, quella giornata ebbe un tono dimesso… La sera, seduto con Aldo davanti la tv, un poco disorientato per dei fatti che non mi erano piaciuti, mi alzai dalla poltrona e diedi la ‘buonanotte’ ad Aldo. Stavo già con la mano sulla maniglia della porta delle scale:
A chi ghe tocheralo la prossima volta?” mi chiese Aldo collegando il pensiero alla salma di don Clemente che ci aveva lasciati. Mi fermai perplesso. Teneva lo sguardo fisso su di me. Lo guardai negli occhi e con voce incerta:
A proposito, Aldo… se me capita che i me trova un tumor…, te preghe per amicizia: dimelo subito. No menar al can per l’aia“. Lui me lo promise, chiedendomi la stessa fraternità nei suoi confronti. Un segno con la mano e salii in camera.
Dopo poche settimane Aldo morì. Di un tumore che lo tormentava da tempo e che gli aveva irrimediabilmente devastato l’intestino (colon trasversale) ed altri organi dello stomaco.
Per assecondare la sua inclinazione naturale, dopo i primi anni di sacerdozio vissuti in Aprilia, Aldo aveva frequentato per tre anni studi di sociologia alla Gregoriana. Erano gli anni fecondi della contestazione: ’69-70-71. Gli anni del dopo-Concilio. Spesso ci parlava con entusiasmo di Tuffari, Pin, Diez Alegrja… alcuni dei suoi professori d’università. Per due anni visse accanto a Don Severino Marchesini, nella parrocchia di San Giovanni Crisostomo. Poi ritornò ad Aprilia: così ci trovammo in sette confratelli a collaborare nella pastorale parrocchiale. Aldo mise subito a servizio della città e della Comunità cristiana la sua specifica preparazione culturale e la sua sensibilità attenta al sociale. Gli fu affidata la cura pastorale della frazione territoriale di Montarelli: 800/1000 persone racchiuse tra la Nettunense e la statale 148. In San Michele era stato incaricato dell’Ufficio Parrocchiale con particolare attenzione alla pastorale matrimoniale.
Una strana ‘allergia’ lo metteva in difficoltà quando si trovava ad agire e a parlare di fronte alla folla. Accusava di sentirsi come preso come un vortice che lo stordiva, che gli faceva perdere l’equilibrio. Sudava da ogni poro della pelle e doveva ritrovare l’equilibrio fisico mettendosi seduto. Aveva una netta predilezione per il dialogo nei piccoli gruppi. Poche volte celebrò da solo nella chiesa di San Michele, troppo vasta per lui e spesso molto frequentata. Per lo più si rifugiava nella concelebrazione: quand’era in piedi teneva una mano poggiata all’altare; se seduto teneva la mano sul bracciolo della sedia accanto.
Per ‘ricuperare’ la sua ‘assenza’ dal servizio liturgico in San Michele (me lo confidò lui stesso, quasi preoccupato di essere di peso per noi, data la sua difficoltà psico-fisiologica), tutte le domeniche pomeriggio, contati e suddivisi con me e con Gemma, una Sorella dell’Istituto secolare delle Figlie di Dio,  i soldi delle offerte, andava in chiesa e lì ‘pregava’ -proprio così mi disse- con la pattumiera e con la scopa… fazzolettini di carta, cicche e foglie secche trascinate in chiesa sotto le suole delle scarpe di mille e più persone, bustine di plastica…, risistemava ordinatamente sui banchi i trecento foglietti della liturgia, lasciava tutto pronto per la santa Messa vespertina. Tranne che in inverno, usciva dalla Chiesa dopo un’ora e più, madido di sudore. Forse nessuno gli ha mai detto ‘grazie’ per questo servizio nascosto e silenzioso.
Poi andava al ‘Centro don Milani’ dove aveva chiesto di poter disporre di due stanzette tutte per sé, per raccogliere e catalogare il materiale cartaceo che gli sembrava degno di nota sui problemi dibattuti al momento sia religiosi che sociali in genere, sia sui problemi particolari del Territorio, della città di Aprilia, della Diocesi e della Parrocchia. Il tutto diventerà, dopo la sua morte, il patrimonio delle Biblioteca dedicata proprio alla sua memoria. Aldo rimaneva chiuso nel suo ‘regno’ (con la radiolina accesa sui risultati della Juve, del Treviso (calcio-rugby-pallavolo) a lavorare per ore e ore… catalogava le riviste e i giornali della settimana… ritagliava o fotocopiava gli articoli mettendoli nelle apposite cartelle suddivise nei cento argomenti… raramente rientrava per l’ora della cena: gli piaceva cenare sul tardi, tra le 21 e le 22. Si cucinava due uova in camicia. Un dato per capire quanto lavorava: gli abbonamenti annuali a riviste di teologia, di sociologia, di cultura gli costavano -siamo negli anni ’80- più di due milioni. Chiedeva di avere a spese della parrocchia due quotidiani, a volte anche di più se le circostanze lo consigliavano e raccoglieva tutte le pubblicazioni locali: di ogni società presente sul Territorio, di ogni Circolo, di ogni formazione politica. Con due suoi amici fece qualcosa come milletrecento fotografie-documento del Territorio di Aprilia: centro-città e campagna-periferica.
Per il tanto e documentato materiale raccolto in pochi anni di lavoro certosino e sistematico Aldo era spesso contattato in Aprilia: dal mondo della scuola, dell’Associazionismo e a volta anche dal mondo politico. So di un assessore che gli commissionò una precisa documentazione sul problema dei ‘diversamente abili’ del Comune di Aprilia, per predisporre poi un’adeguata assistenza cittadina. So di concorsi scolastici vinti da studenti con il materiale specifico da lui messo a loro disposizione. Ricordo con commozione e con convinzione i vari Convegni cittadini organizzati insieme con lui, sempre su sua iniziativa, a nome della Parrocchia, su questo o quel disagio sociale di cui Aprilia purtroppo abbondava.
Intorno ad Aldo e al suo lavoro di analisi, di documentazione e di sensibilizzazione nacque per sinergia un nutrito e vivace ‘Gruppo Lavoratori’ che in casi particolari provocò anche difficoltà all’interno della vita parrocchiale. Ad una circostanziata accusa rivoltagli dal fratello-maggiore del nostro gruppo sacerdotale durante uno dei nostri incontri mensili (si trattava di due suoi articoli pubblicati su un mensile di Anzio/Nettuno che riguardavano il clero diocesano) -accusa allargata anche da altri interventi di critica per la presenza quotidiana di certi giovani nel suo Ufficio- Aldo ci rispose pressappoco con queste parole: Voi nella tradizionale pastorale sacramentale avvicinate e seguite la gran parte dei cristiani locali per rispondere alle loro richieste. Io mi lascio avvicinare, cerco di dialogare con quelle persone che in chiesa o dal prete non verrebbero mai. Almeno così è lasciata aperta una porta anche ad una fascia di persone che vivono assieme a noi nello stesso Territorio…
Insostituibile la sua collaborazione al mensile ‘Comunità parrocchiale‘ fortemente da lui voluto, difeso e diffuso. Su quelle pagine c’è ancor oggi una ricca e circostanziata documentazione sui problemi di Aprilia, quali: scuola ( edilizia, abbandono scolastico, tempo pieno), fabbriche, edilizia popolare, disagio giovanile, elezioni politiche e amministrative, nuove parrocchie,- gli immigrati… collaborazione che talvolta gli costò difficoltà anche all’interno del nostro gruppo sacerdotale. Storica e con echi diocesani la questione del referendum sul divorzio, quando dalle pagine del mensile, con la firma del Gruppo Lavoratori invitava a votare “no” all’abrogazione della legge che aveva introdotto in Italia la possibilità civile di divorziare.
So per certo che il materiale affidato da Aldo al mensile parrocchiale e servito in seguito ad almeno tre studenti universitari dì Aprilia per la loro tesi di laurea: una psicologa, un sociologo e un architetto. Lasciai Aprilia nel ’96. Anni dopo fui contattato da persone del mondo della scuola di Aprilia desiderose di consultare la documentazione lasciata da Aldo nelle pagine rilegate del mensile.
Una confidenza, se può servire a capire meglio il nostro caro confratello. La trovo nel mio diario dell’88: “13 aprile – Aldo mi chiede di lasciare con lui Aprilia, di ritornare a Vittorio Veneto, chiedendo di gestire insieme la Biblioteca di Casa Pater, naturalmente aprendola al pubblico aggiornata sulle tematiche delle ricerche più recenti. Per renderla una delle voci nel dialogo socio-culturale di Vittorio Veneto. Lui ci credeva tanto”. Io non ne ho avuto il coraggio.
Ancora tre aspetti mi piace sottolineare della vita comunitaria di Aldo:
1-    sapeva mantenere un rapporto positivo, aperto e collaborativo anche con le persone che sentiva lontane dalla sua visione culturale dei problemi della vita quotidiana;
2-  la sua attenzione alle piccole cose. Qui dovrei scendere in particolari personali e non mi va di farlo. Comunque ricordo sue asserzioni fatte dopo anni da certi avvenimenti, asserzioni dalle quali traspariva la sua sottolineatura di particolari che a me sembravano del tutto trascurabili e che invece lui aveva colto come particolarmente validi.
3- Era il contrario di Andreotti, famoso per aver detto: a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina. Con Aldo nei frequenti colloqui quotidiani constatai come sempre cercasse di fare una lettura positiva dei fatti che ci interessavano, dell’agire di questa o di quella persona. Penso che questo fatto lo abbia anche portato ad una morte prematura: si fidò troppo del suo medico, contattato sempre e solo per telefono negli ultimi tre anni…
Se chiudo gli occhi, rivedo il corridoio dell’Ospedale Regina Apostolorum ‘reparto sacerdoti’ (la prima volta che Aldo entrò ricoverato in un ospedale fu anche l’ultima). Lui mi stava di schiena. Le spalle erano ossute, scheletriche come un attaccapanni. Trascinava le pantofole. Pensai e pregai tra me: va tranquillo, Aldo. Al di là della porta troverai due braccia di Padre che ti diranno “Ero in carcere e sei venuto a trovarmi… ero forestiero e mi hai accolto con ospitalità… avevo fame e tu ti sei fatto in quattro per nutrirmi di speranza…”. Dopo i miei famigliari, Aldo è la più bella amicizia della mia vita. Mi ha spinto a frequentare orizzonti che da solo, probabilmente, non avrei mai gustato.

don Dorino Conte

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Lug 162014
 

don Dorino Conte
(a cura di  don Francesco Dal Cin)

Nato 9 gennaio 1915 a Enego (Vicenza)
Ordinato 12 aprile 1941 a Vittorio Veneto
Morto 2 marzo 1991 a Gattinara (Vercelli)

Nasce a Enego, un piccolo paese  in provincia di Vicenza, il 9 gennaio 1915.
Dopo le scuole elementari entra a Casa Pater.
Fa parte, insieme con Doro,(il futuro don Isidoro) dei “primi” accolti da p. Gioachino Rossetto nell’odon Dorino Contettobre del 1929 alla apertura di Casa Pater.
Compie tutti i suoi studi frequentando il Seminario Vescovile di Vittorio Veneto e riceve l’Ordinazione sacerdotale il 12 aprile 1941.
I primi anni del suo ministero – sono gli anni della guerra –  li vive a Casa Pater, con l’incarico di seguire come padre spirituale il gruppo di studenti più giovani.

Nel 1946 Mons. Beniamino Socche, vescovo di Reggio Emilia, e “figlio spirituale” di padre Gioachino Rossetto, lo sceglie come suo segretario, per cui don Dorino lascia Casa Pater e si stabilisce lì.
Il 1 gennaio 1950 il vescovo mons. Socche lo incardina tra il clero della diocesi di Reggio Emilia.
L’8 settembre 1952 don Dorino lascia il lavoro di segretario e passa, per desiderio del vescovo, a un nuovo incarico: viene nominato Assistente agli operai della città di Sassuolo (Reggio Emilia).
Qui egli esprimerà il meglio di se stesso donandosi con tutta la sua carità di pastore e di padre verso i giovani.

Il 14 giugno del 1955 don Dorino è fatto Monsignore!!!
Di questa onorificenza così lascerà scritto nel suo testamento: “Sento di non aver mai cercato gli onori… Sappia il “MIO” Ecc.mo Vescovo che resta quella onorificenza “Vergine e Martire”: Vergine, perché nulla ha prodotto, perché rimase così sulla carta come il primo giorno, per sempre; Martire, perché se da qualcuno veniva usato era per me la più grande confusione”

Il 18 ottobre 1966 – dopo la chiusura della scuola ACAL  (Attività Cattolica Avviamento al Lavoro),  “la sua scuola”!!! – diviene parroco di Dinazzano.

Muore il 2 marzo 1991 a Gattinara in provincia di Vercelli

La figura e l’opera di don Dorino merita ben altro di quanto è dato di poter dire  in un breve profilo come questo, fatto soprattutto di date.
Ciò è stato fatto da quanti la Provvidenza ha fatto godere della sua presenza, con iniziative di vario genere, nella diocesi di Reggio Emilia.[con Pubblicazioni  e  Associazioni a lui intitolate.]

Io lo ricordo quando, insieme con Monsignor Socche, – il quale amava quasi tutti gli anni trascorrere qualche giorno con i Fratelli Sacerdoti e con le Sorelle “in casa nostra” a Vittorio Veneto – da Reggio Emilia, veniva a farci visita.
Vedo ancora il suo volto sorridente e sento ancora il timbro tutto particolare della sua voce…Era un volto che lasciava trasparire grande serenità  d’animo  e insieme una grande forza interiore.
Questo ricordo di don Dorino.

Aggiungo ancora qualche riga, che mi viene offerta stralciando dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto nel suo ministero.
-A Sassuolo si è sentito l’esigenza nel 2005 di dare vita ad una Associazione, detta  “Don DORINO CONTE”  per ricordare il prezioso lavoro sociale compiuto da lui in quella città negli anni cinquanta.
Egli è stato il Fondatore di una scuola di Ceramica che tanto bene ha fatto all’intera città, negli anni immediatamente successivi alla guerra, i primissimi anni della ricostruzione. Don Dorino diede vita nella città di Sassuolo alla scuola, denominata “ACAL, con la finalità di recuperare i ragazzi senza alcun titolo scolastico,… se non quelli delle scuole elementari!!! e avviarli, “preparati”, al lavoro nelle fabbriche che sorgevano in quel momento come funghi sul territorio, In modo particolare nel settore della “Ceramica”.
Nello statuto della Associazione, che porta il suo nome, al terzo comma si legge: L’Associazione  “intende con la sua esistenza onorare e tenere vivo il ricordo di Don Dorino, per l’opera educatrice ed il contributo tecnico formativo offerto che fu determinante per il miracolo economico del comprensorio”

-E sempre per sottolineare il lavoro nel mondo del sociale compiuto da don Dorino, nella presentazione di un libro dedicato alla sua figura. Il presidente della suddetta Associazione si esprime con parole piuttosto dense di significato: “La pubblicazione di questo libro deve servire a proseguire nella ricerca della verità storica sulla vita e sulle opere di questo grande sacerdote”.

Mi piace ricordare ancora cosa scrivono di lui due coppie ,(allora, erano Giovani Sposi)  “Don Dorino Conte è stato il grande amico della nostra giovinezza.
Ci ha dato tanto, stima, amicizia vera, grande esempio di fede viva, di semplicità e di bontà infinita, attento all’ascolto e al dialogo con tutti,  grandi e non.
Non possiamo dimenticare quella porta sempre aperta in quella misera canonica.
A qualsiasi ora ci accoglieva, sorridendo sempre, non chiedeva mai per lui e sempre aveva qualche cosa da offrire. Magari una semplice tazza di the preparata dall’Angelina dimenticando spesso lo zucchero o il limone, ma quanto era buono! Come mai? Era la gentilezza nell’offrirlo. Quel sorriso aperto, sincero chi può dimenticarlo?(Franco, Lalla, Ninni e Maria Silvia).

Mi sembra bello chiudere riportando, dal suo Testamento Spirituale, parte di quella che lui chiama  “la sua confessione”:

“Sono vissuto in casa altrui sempre, su un letto in prestito, mantenuto come un mendicante…
di quanto al Provvidenza mi mise tra mano è stato tutto utilizzato a bene altrui non pensando affatto per me…
Sento di morire povero, di non aver mai cercato gli onori…
Ho dedicato la mia vita ai giovani…
Lascio a tutti la mia supplica: salvatevi l’Anima perché se la salvate avete fatto tutto, se la perdete, avete perduto tutto”

Bella figura di prete vero, quella di don Dorino. Egli  “ha speso tutto” nella sequela a Cristo, e nell’amore ai fratelli.

don Antonio Zarantoniello

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Lug 162014
 

don Antonio Zarantoniello
(a cura di don Andrea De Matteis)

Nato 31 gennaio 1923 a Montecchio Maggiore (Vi)
Ordinato 20 giugno 1946 a Vittorio Veneto
Morto 20 luglio 1999 all’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale

L’Agnello sarà il loro pastore”. Queste le parole  con cui si apre l’epigrafe che annuncia il ritorno alla casa del Padre di don Antonio Zarantoniello.
Inoltre,  una bella  immagine dell’Agnello Immolato è  posta davanti alla sua bara in chiesa il giorno del suo funerale.
Infine, all’omelia della Messa esequiale il Vescovo mons. Dante Bernini inizia dicendo “Abbiamo depodon Antonio Zarantoniellosto don Antonio ai piedi dell’altare. Abbiamo deposto un pastore. Abbiamo deposto un agnello”.
Potrei fermarmi qui, e avrei detto già tutto di don Tonino.
Mi permetto di aggiungere soltanto qualche altro flash, di sicuro non in maniera ordinata, ma così come mi vengono dal cuore.
Don Antonio (che tutti chiamavano confidenzialmente don Tonino; e anch’io lo chiamavo così,  perché  un figlio della “sua” comunità di Aprilia), ha vissuto gli ultimi anni  nella  Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo. E’ qui soprattutto che io ho avuto la fortuna di incontrarlo e di conoscerlo.
Forse sono stati per lui gli anni più ricchi e più fecondi a motivo della sua grande sofferenza, vissuta con amore, mostrando sempre  grande disponibilità a servire tutti.
Don Antonio ritorna nella nostra comunità di Aprilia negli anni 90. Devo dire:  ritorna, perché era già stato, per tanto tempo nella parrocchia di san Michele, precisamente dal 1956 fino al 1970  come viceparroco.
Ricordo, io ero allora un ragazzo e frequentavo la Parrocchia, ricordo quella domenica pomeriggio quando arrivò,  in carrozzina!  accolto da don Angelo Zanardo, allora parroco dei SS. Pietro e Paolo. Era accompagnato da Ti Gabu (un giovane dell’Africa) e dalla fedele Sig.na Amelia Capraro.
Negli anni vissuti a SS. Pietro e Paolo, io sono stato uno dei suoi accompagnatori.
Con una certa emozione ricordo ancora che don Tonino mi accolse da vero padre quel giorno in cui, dopo aver “veramente sentito”, tra le lacrime e lo stupore, il desiderio di essere sacerdote, lo confidai a lui.
Da quel momento cominciò a lavorare su di me per farmi capire cosa voleva dire “essere sacerdote”…, perché don Tonino…. non faceva il sacerdote, ma lo era in pieno.
Nella “sua” ultima Parrocchia – in carrozzina – si dedicò alla catechesi degli adulti, ai corsi di preparazione al matrimonio, al ministero della confessione, e alla direzione spirituale, anche se ciò che gli premeva più di ogni altra cosa era di far capire all’intero popolo di Dio il ruolo e la missione dei laici dentro la Chiesa. Fu Assistente della Consulta Diocesana, dove in ogni occasione non mancava di incoraggiare la presenza dei laici.
Don Antonio Zarantoniello era nato a Montecchio Maggiore (Vicenza) il 31 gennaio  1923  e  battezzato nel Chiesa Parrocchiale della SS.ma Trinità. Oggi, nel cimitero di questo piccolo centro del Veneto, riposano le sue spoglie mortali, secondo le sue ultime volontà.
Ha ricevuto la sua prima educazione umana e cristiana in famiglia. Don Tonino proveniva da una famiglia profondamente religiosa. Dall’esempio dei genitori è nata la sua vocazione, e quella dei due fratelli sacerdoti e delle due sorelle suore.
Era l’ultimo di sette!  A 11 anni entra nell’Istituto San Raffaele a Vittorio Veneto. Frequenta le scuole medie inferiori, il ginnasio, il liceo e lo studio della teologia nel Seminario vescovile di Vittorio Veneto. Viene ordinato sacerdote il 20 giugno 1946 dal Vescovo Mons. Giuseppe Zaffonato.
Fin dal momento della sua ordinazione don Antonio si dedica intensamente al servizio pastorale.
Nel 1956 è inviato ad Aprilia come vice parroco nella parrocchia di San Michele. Nel 1964 viene nominato  parroco di Casalazzara, località situata alla periferia di Aprilia e nel 1970 passa a reggere la parrocchia di Falasche (Anzio) fino al 1978, quando il vescovo di Albano lo chiama a pascere “l’amata” Lanuvio.  Io ricordo ancora  che quando si nominava o si parlava di Lanuvio, don Tonino, si commuoveva e il suo sguardo si illuminava di gioia. Troviamo scritto nel suo Testamento spirituale: “Dopo un anno dalla mia venuta a Lanuvio, ho cominciato un periodo difficile per la salute.  Ho sofferto sempre di più, ma ho sofferto giornalmente per voi e con voi fino all’ultima operazione”.
A Lanuvio don Tonino inizia a vivere la dura  stagione della sofferenza; inizia la salita del suo Calvario: con l’ilarità che lo distingueva e con la sua  fede robusta, lui riuscirà a chiamarla  “l’arrampicata del Padre”.
Nel gennaio 1989 viene ricoverato all’ospedale di Budrio, una località situata vicino a Bologna, e lì, dopo visite e consulti si decide di amputare ambedue gli arti inferiori. Questo è il momento in cui  prende il via il tratto più duro e più difficile “dell’arrampicata -!!!”
Don Tonino comprende subito che è arrivato il momento di affidarsi totalmente al Padre e lo fa, scrivendo nel suo  testamento spirituale: “Comunque, dovunque, in qualunque modo tu mi condurrai alla mia ultima ora terrena, sai che fin d’ora tutto quanto accetto di quel momento, perché Ti amo,  Padre,  e mi fido di te”.
Così egli scrive: è il 22 aprile 1990,  giorno del suo arrivo ai SS. Pietro e Paolo dove viene  accolto e curato con amore  fraterno  prima da don Angelo Zanardo e poi don Secondo Orazi e dalla inseparabile sig.na Amelia Capraro.
Don Tonino muore all’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale, il 20  luglio 1999  da  “vero agnello immolato” e da vero figlio, vissuto sempre confidando, come Gesù, nell’amore del Padre celeste.

don Fernando Antonio Dalla Libera

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Lug 162014
 

don Fernando Antonio Dalla Libera
(a cura di don Antonio Muraro)

Nato 20 giugno 1923 a Follina (Treviso)
Ordinato 20 giugno 1948 a Vittorio Veneto
Morto 27 novembre 1999 all’ospedale di Conegliano (Tv)

don fernandoDopo aver servito nei primissimi anni del suo sacerdozio, la chiesa vittoriese, in varie attività pastorali, ecco gli incarichi più importanti del suo ministero sacerdotale, dove ha profuso le sue grandi doti umane e di pastore:
1.    A Roma, come viceparroco, insieme con don Severino Marchesini, dal 1950 al 1958 nella parrocchia di santa Lucia.
2.    Parroco ad Aprilia (Latina) dal 1958 al 1967.
3.    In missione – fidei donum –  in Germania tra gli immigrati italiani fino al 1996(?).

Carico di acciacchi e con grossi problemi alla vista, ritorna in Italia nel 1996, e per qualche an
no vive, ritirato in un appartamento a Farò, accanto ai suoi fratelli, fino alla sua morte (1999).

Don Fernando, nonostante fosse uscito ufficialmente dalla “Famiglia”di Casa San Raffaele, si è sempre considerato “un suo figlio”; è rimasto molto legato all’Istituto e a tutti noi; non mancava occasione per dimostrarcelo. La spiritualità, ricevuta negli anni della sua formazione, lo ha accompagnato sempre e nella sua vita personale e nel suo ministero sacerdotale.
Lo posso affermare direttamente per le varie frequentazioni che ho avuto personalmente con lui.

Devo confessare che nella mia attività pastorale don Fernando è stato per me un padre, un pastore ed un “ideale” …che ho cercato di imitare. Anche se non ho avuto lunga esperienza pastorale accanto a lui, i tre anni passati assieme, – i primi del mio ministero – sono stati un faro di luce vivissima per il mio modo di vivere il sacerdozio.

Cosa ho imparato da don Fernando e cosa  mi ha trasmesso il suo modo di “fare il pastore”?

Direi,  sintetizzando:
1.    L’amore alla “sua” Chiesa, intesa non tanto o soltanto come edificio, ma soprattutto come comunità di credenti. La chiesa-comunità di S. Michele Arcangelo di Aprilia è stata veramente “la sua sposa”. Ricordo ancora con quanta nostalgia e commozione, parlava di Aprilia e dei “suoi” apriliani, anche a distanza di molti anni, quando non era più parroco!
2.    La straordinaria sensibilità e la grande apertura nei confronti delle problematiche sociali, educative e soprattutto religiose del territorio in cui si trovava ad essere pastore..
Le opere che ha realizzato in quegli anni ne danno una testimonianza.
Mi sento di elencarne alcune, quelle che mi sembrano più significative.
a)    – Dotazione di arredi per il culto (quando arrivò in parrocchia non c’era quasi niente) e di opere artistiche, di pregio, per la chiesa di san Michele Arcangelo. (ad es. gli affreschi del pittore Bepi Modolo).
b)    – Nei confronti delle Attività Pastorali vere e proprie: ha incrementato e ordinato la catechesi per bambini e per gli adulti. Ha indetto missioni al popolo. Ha costruito le prime Cappelle in alcune zone più lontane della periferia della città; cappelle che diventeranno in seguito vere e proprie chiese parrocchiali(Casa Lazzara – Campo di Carne – Isole).
c)    Ha dato vita alla Associazione e al Circolo ACLI, per essere vicino al mondo del lavoro. Aprilia, godendo della famosa Cassa del Mezzogiorno, in quegli anni era meta di tanti emigranti dal sud e dalle zone più disagiate d’Italia, in cerca di riscatto.
d)    La costruzione del  Centro di Addestramento Professionale  (CAP) con l’aiuto della Pontificia Opera di Assistenza (POA) a beneficio dei giovani della parrocchia, come avvio ad un lavoro qualificato.
e)    Inizio di un vero oratorio parrocchiale con la presenza di un sacerdote, per i tantissimi ragazzi e giovani della città, in veloce espansione urbanistica con l’insediamento di nuove famiglie che continuamente arrivavano, attirate dalle numerose fabbriche che continuavano a sorgere nel territorio, favorite dalla Cassa per il Mezzogiorno.
Va ascritto a merito di don Fernando, e alla sua lungimiranza, l’acquisto di un terreno in via delle Valli (Aprilia), dove sorgerà in seguito, il famoso “Centro Sportivo Primavera”, ancora oggi, “fiore all’occhiello”, come struttura sportiva e associativa, della città.
3 – La cordialità che mostrava con tutti, la simpatia che infondeva, l’accoglienza e l’amicizia che sapeva instaurare e diffondere attorno a sé, tutto questo era qualche cosa di veramente straordinario. Queste doti di cui la natura lo aveva arricchito e che don Fernando  ha saputo coltivare, le ha usate rendendo sicuramente più fecondo il suo apostolato.
Devo dire che ancora oggi, dopo più di 40 anni, in Aprilia ci sono persone che lo ricordano con tanta nostalgia e gratitudine.
Chiudo con qualche ricordo personale
A me ha trasmesso sicuramente alcuni aspetti della sua personalità forte e insieme dolce e nobile:
– Grande amore e cura speciale per la chiesa di S. Michele, di cui, dopo alcuni anni che lui aveva lasciato per altri incarichi pastorali, sono diventato parroco.
– Disponibilità, sensibilità e dedizione ai ragazzi… Mi esortava a sempre nuove iniziative in favore della gioventù. E questo per me, è stata come una seconda “pelle”. Mi ripeteva spesso: “Per i giovani non avere mai paura di impegnare anche risorse economiche; la Provvidenza non mancherà di darti una mano“. E come è stato vero!
– Simpatia verso lo sport, come mezzo efficace per avvicinare e seguire con continuità i ragazzi, e  le loro famiglie.
– Infine da don Fernando ha appreso una regola di vita che tuttora mi anima e mi aiuta e che ho portato avanti costantemente nella mia attività di pastore perché credo nella sua efficacia: frequenti convivialità con i confratelli sacerdoti e con i più stretti collaboratori pastorali.
– Termino dicendo che sono grato al Signore per avere incontrato sulla strada del mio sacerdozio “un prete” come don Fernando.

don Giuseppe Menon

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Lug 162014
 

don Giuseppe  Menon
“sacerdote, missionario, figlio di Dio”
(a cura del fratello don Egidio Menon)

Nato 2 giugno 1939 a S. Vito di Brendola (VI)
Ordinato 28 giugno 1964
Morto 13 febbraio 2014 Vicenza

Si è  preparato al sacerdozio a Casa San Raffaele di Vittorio Veneto.
Ha frequentato il seminario diocesano, ed è stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1964 dall’allora vescovo S.E. Mons. Albino Luciani, poi Papa Giovanni Paolo I.
Subito dopo l’ordinazione, ha raggiunto i confratelli dell’Unione Sacerdotale in servizio pastorale ad Aprilia, diocesi di Albano, dove è rimasto solo un anno.
Ha poi svolto il suo ministero per due brevi periodi in diocesi di Vittorio Veneto, nella parrocchia di Cordignano, e più tardi nell’Unità Pastorale di Godega, Pianzano e Bibano.
Ma la sua vita sacerdotale è stata soprattutto presenza missionaria in Brasile: come sacerdote “fidei donum”, vi ha lavorato per ben 35 anni, nelle diocesi di São Mateus, Caetitè e Livramento.
Lo scorso anno, colpito dal morbo di Parkinson, ha dovuto rientrare in Italia, ed è stato accolto, in grande fraternità ecclesiale, nella RSA Novello di Vicenza, da dove il Padre lo ha chiamato a Sé il 13 febbraio 2014.
La Messa esequiale è stata celebrata a Vò di Brendola lunedì 17 febbraio 2014, con la presenza di quattro vescovi, dei confratelli e di numerosi sacerdoti delle diocesi di Vittorio Veneto e Vicenza.

“Vorrei che la mia ultima parola fosse “Eccomi”, e possibilmente fosse scolpita nella pietra o simile.    A ciascuno chiedo una preghiera di lode al Padre e un canto a Maria.  Pater, fiat!
Parto  –  aspetto tutti  –  insieme per sempre”.
Sono alcune espressioni del semplicissimo testamento spirituale di Don Giuseppe.   Vorremmo far memoria di questo nostro fratello, per continuare a ripetere il nostro grazie al Padre che ce lo ha donato e perché il suo esempio ci stimoli a vivere da veri figli di Dio.
Un suo amico ci ha scritto: “D. Giuseppe non era tipo di molte parole ed amava usare sempre occhiali scuri; ma dal suo silenzio e  da dietro quegli occhiali scuri sprizzava gioia”. La sorgente della sua gioia era proprio la certezza che Dio ci è Padre, e con Gesù siamo fratelli in cammino.
Tale spiritualità gli era stata trasmessa fin da piccolo, in famiglia, in modo particolare dalla mamma, ed anche da una zia che faceva parte della Famiglia Spirituale femminile iniziata a Vicenza da P. Gioachino M. Rossetto.
L’ha poi approfondita negli anni di preparazione al sacerdozio, a Casa S. Raffaele, a contatto con i testimoni ancora viventi della “novità” annunciata e testimoniata da P. Rossetto; ricordiamo D. Isidoro Mattiello, D. Severino Marchesini, D. Fernando Dalla Libera, ed anche il vescovo S.E. Mons. Giuseppe Zaffonato.
Ne ha cercato e scandagliato la portata nelle forti espressioni di paternità sparse in tutta la bibbia, favorito dalla sua sua passione per l’ebraico, cui si è dedicato negli ultimi quindici anni della sua vita, l’ha portato a scoprire l’immensa tenerezza con cui il Padre ci ama.  Amava ripetere con il Salmo 139,5: “Alle spalle e di fronte mi circondi, e poni su di me la tua mano”. Ed univa queste parole con quelle trovate addirittura nella lettura del Corano, che definisce Dio “l’Avvolgente”!
Uno dei sogni di P. Rossetto era far sorgere un tempio a Dio Padre. D. Giuseppe ha realizzato tale sogno. Nei suoi quasi vent’anni di permanenza a Guanambi (Brasile) ha progettato e costruito il “Centro Betania” per ogni tipo di riunioni ed incontri di formazione. La grande chiesa ottagonale del Centro l’ha voluta proprio come “chiesa del Padre Nostro”: nella vetrata centrale campeggia il nome familiare di Dio, “Abba”;  e le vetrate rotonde che si aprono su ognuna delle pareti riportano ed illustrano, una ad una, le domande della preghiera insegnataci da Gesù.
Per lui la fede-fiducia in Dio Padre e la nostra risposta di figli era il punto centrale di ogni catechesi, di ogni incontro di formazione, di ogni omelia. E perché essa arrivasse più profondamente al cuore, non fosse mai dimenticata e potesse diventare vita concreta di ogni battezzato, l’ha riassunta in un piccolo libro di preghiere, cui naturalmente ha dato il titolo “Creio em Deus Pai” (Credo in Dio Padre). Ed è un fascicolo che, dopo circa trent’anni dalla prima stampa, circola ancora, non solo dove lui è passato, ma anche in altre diocesi del Brasile!
Più che con le parole o con le opere esterne, però, D. Giuseppe ha mostrato il Padre con la sua testimonianza di vita. Lo ha fatto in semplicità e silenzio, lungo tutti i suoi 49 anni di sacerdozio, ma soprattutto nell’ultimo periodo, quando il morbo di Parkinson l’ha costretto al letto. Il suo vescovo in Brasile, Dom Armando Bucciol, nell’omelia funebre gli ha detto: “Il Padre, che ti ha scelto e sostenuto anche in questo ultimo tempo della tua missione, quando questa si é fatta ancora piú silenziosa e di ‘caro prezzo’ – il prezzo del dolore –  ti dia il premio promesso”.   La sua “ultima parola: Eccomi!” è durata nove mesi: nove mesi di silenzio reale (la voce gli era quasi sparita del tutto), ma di “totale abbandono” nelle Mani del Padre, come ancora ha sottolineato Dom Armando.
Ricordando un fratello che ci ha lasciato, non ci resta che ringraziare il Padre dal quale “viene ogni dono perfetto” (Gc 1,16): ringraziare per il dono che è stato Don Giuseppe per ognuno di noi. E soprattutto aiutarci a camminare sulla strada che lui ha percorso, la strada della gioia dei Figli di Dio, che si lasciano portare dalle braccia d’Amore del Padre.  Come lui stesso ci assicura, D. Giuseppe ci aspetta… presso il Padre!

I confratelli dell’Unione Sacerdotale S. Raffaele, con D. Egidio