agasparotto@hotmail.com

don Antonio Zarantoniello

 Unione Sacerdotale - Biografie  Commenti disabilitati su don Antonio Zarantoniello
Lug 162014
 

don Antonio Zarantoniello
(a cura di don Andrea De Matteis)

Nato 31 gennaio 1923 a Montecchio Maggiore (Vi)
Ordinato 20 giugno 1946 a Vittorio Veneto
Morto 20 luglio 1999 all’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale

L’Agnello sarà il loro pastore”. Queste le parole  con cui si apre l’epigrafe che annuncia il ritorno alla casa del Padre di don Antonio Zarantoniello.
Inoltre,  una bella  immagine dell’Agnello Immolato è  posta davanti alla sua bara in chiesa il giorno del suo funerale.
Infine, all’omelia della Messa esequiale il Vescovo mons. Dante Bernini inizia dicendo “Abbiamo depodon Antonio Zarantoniellosto don Antonio ai piedi dell’altare. Abbiamo deposto un pastore. Abbiamo deposto un agnello”.
Potrei fermarmi qui, e avrei detto già tutto di don Tonino.
Mi permetto di aggiungere soltanto qualche altro flash, di sicuro non in maniera ordinata, ma così come mi vengono dal cuore.
Don Antonio (che tutti chiamavano confidenzialmente don Tonino; e anch’io lo chiamavo così,  perché  un figlio della “sua” comunità di Aprilia), ha vissuto gli ultimi anni  nella  Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo. E’ qui soprattutto che io ho avuto la fortuna di incontrarlo e di conoscerlo.
Forse sono stati per lui gli anni più ricchi e più fecondi a motivo della sua grande sofferenza, vissuta con amore, mostrando sempre  grande disponibilità a servire tutti.
Don Antonio ritorna nella nostra comunità di Aprilia negli anni 90. Devo dire:  ritorna, perché era già stato, per tanto tempo nella parrocchia di san Michele, precisamente dal 1956 fino al 1970  come viceparroco.
Ricordo, io ero allora un ragazzo e frequentavo la Parrocchia, ricordo quella domenica pomeriggio quando arrivò,  in carrozzina!  accolto da don Angelo Zanardo, allora parroco dei SS. Pietro e Paolo. Era accompagnato da Ti Gabu (un giovane dell’Africa) e dalla fedele Sig.na Amelia Capraro.
Negli anni vissuti a SS. Pietro e Paolo, io sono stato uno dei suoi accompagnatori.
Con una certa emozione ricordo ancora che don Tonino mi accolse da vero padre quel giorno in cui, dopo aver “veramente sentito”, tra le lacrime e lo stupore, il desiderio di essere sacerdote, lo confidai a lui.
Da quel momento cominciò a lavorare su di me per farmi capire cosa voleva dire “essere sacerdote”…, perché don Tonino…. non faceva il sacerdote, ma lo era in pieno.
Nella “sua” ultima Parrocchia – in carrozzina – si dedicò alla catechesi degli adulti, ai corsi di preparazione al matrimonio, al ministero della confessione, e alla direzione spirituale, anche se ciò che gli premeva più di ogni altra cosa era di far capire all’intero popolo di Dio il ruolo e la missione dei laici dentro la Chiesa. Fu Assistente della Consulta Diocesana, dove in ogni occasione non mancava di incoraggiare la presenza dei laici.
Don Antonio Zarantoniello era nato a Montecchio Maggiore (Vicenza) il 31 gennaio  1923  e  battezzato nel Chiesa Parrocchiale della SS.ma Trinità. Oggi, nel cimitero di questo piccolo centro del Veneto, riposano le sue spoglie mortali, secondo le sue ultime volontà.
Ha ricevuto la sua prima educazione umana e cristiana in famiglia. Don Tonino proveniva da una famiglia profondamente religiosa. Dall’esempio dei genitori è nata la sua vocazione, e quella dei due fratelli sacerdoti e delle due sorelle suore.
Era l’ultimo di sette!  A 11 anni entra nell’Istituto San Raffaele a Vittorio Veneto. Frequenta le scuole medie inferiori, il ginnasio, il liceo e lo studio della teologia nel Seminario vescovile di Vittorio Veneto. Viene ordinato sacerdote il 20 giugno 1946 dal Vescovo Mons. Giuseppe Zaffonato.
Fin dal momento della sua ordinazione don Antonio si dedica intensamente al servizio pastorale.
Nel 1956 è inviato ad Aprilia come vice parroco nella parrocchia di San Michele. Nel 1964 viene nominato  parroco di Casalazzara, località situata alla periferia di Aprilia e nel 1970 passa a reggere la parrocchia di Falasche (Anzio) fino al 1978, quando il vescovo di Albano lo chiama a pascere “l’amata” Lanuvio.  Io ricordo ancora  che quando si nominava o si parlava di Lanuvio, don Tonino, si commuoveva e il suo sguardo si illuminava di gioia. Troviamo scritto nel suo Testamento spirituale: “Dopo un anno dalla mia venuta a Lanuvio, ho cominciato un periodo difficile per la salute.  Ho sofferto sempre di più, ma ho sofferto giornalmente per voi e con voi fino all’ultima operazione”.
A Lanuvio don Tonino inizia a vivere la dura  stagione della sofferenza; inizia la salita del suo Calvario: con l’ilarità che lo distingueva e con la sua  fede robusta, lui riuscirà a chiamarla  “l’arrampicata del Padre”.
Nel gennaio 1989 viene ricoverato all’ospedale di Budrio, una località situata vicino a Bologna, e lì, dopo visite e consulti si decide di amputare ambedue gli arti inferiori. Questo è il momento in cui  prende il via il tratto più duro e più difficile “dell’arrampicata -!!!”
Don Tonino comprende subito che è arrivato il momento di affidarsi totalmente al Padre e lo fa, scrivendo nel suo  testamento spirituale: “Comunque, dovunque, in qualunque modo tu mi condurrai alla mia ultima ora terrena, sai che fin d’ora tutto quanto accetto di quel momento, perché Ti amo,  Padre,  e mi fido di te”.
Così egli scrive: è il 22 aprile 1990,  giorno del suo arrivo ai SS. Pietro e Paolo dove viene  accolto e curato con amore  fraterno  prima da don Angelo Zanardo e poi don Secondo Orazi e dalla inseparabile sig.na Amelia Capraro.
Don Tonino muore all’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale, il 20  luglio 1999  da  “vero agnello immolato” e da vero figlio, vissuto sempre confidando, come Gesù, nell’amore del Padre celeste.

don Fernando Antonio Dalla Libera

 Unione Sacerdotale - Biografie  Commenti disabilitati su don Fernando Antonio Dalla Libera
Lug 162014
 

don Fernando Antonio Dalla Libera
(a cura di don Antonio Muraro)

Nato 20 giugno 1923 a Follina (Treviso)
Ordinato 20 giugno 1948 a Vittorio Veneto
Morto 27 novembre 1999 all’ospedale di Conegliano (Tv)

don fernandoDopo aver servito nei primissimi anni del suo sacerdozio, la chiesa vittoriese, in varie attività pastorali, ecco gli incarichi più importanti del suo ministero sacerdotale, dove ha profuso le sue grandi doti umane e di pastore:
1.    A Roma, come viceparroco, insieme con don Severino Marchesini, dal 1950 al 1958 nella parrocchia di santa Lucia.
2.    Parroco ad Aprilia (Latina) dal 1958 al 1967.
3.    In missione – fidei donum –  in Germania tra gli immigrati italiani fino al 1996(?).

Carico di acciacchi e con grossi problemi alla vista, ritorna in Italia nel 1996, e per qualche an
no vive, ritirato in un appartamento a Farò, accanto ai suoi fratelli, fino alla sua morte (1999).

Don Fernando, nonostante fosse uscito ufficialmente dalla “Famiglia”di Casa San Raffaele, si è sempre considerato “un suo figlio”; è rimasto molto legato all’Istituto e a tutti noi; non mancava occasione per dimostrarcelo. La spiritualità, ricevuta negli anni della sua formazione, lo ha accompagnato sempre e nella sua vita personale e nel suo ministero sacerdotale.
Lo posso affermare direttamente per le varie frequentazioni che ho avuto personalmente con lui.

Devo confessare che nella mia attività pastorale don Fernando è stato per me un padre, un pastore ed un “ideale” …che ho cercato di imitare. Anche se non ho avuto lunga esperienza pastorale accanto a lui, i tre anni passati assieme, – i primi del mio ministero – sono stati un faro di luce vivissima per il mio modo di vivere il sacerdozio.

Cosa ho imparato da don Fernando e cosa  mi ha trasmesso il suo modo di “fare il pastore”?

Direi,  sintetizzando:
1.    L’amore alla “sua” Chiesa, intesa non tanto o soltanto come edificio, ma soprattutto come comunità di credenti. La chiesa-comunità di S. Michele Arcangelo di Aprilia è stata veramente “la sua sposa”. Ricordo ancora con quanta nostalgia e commozione, parlava di Aprilia e dei “suoi” apriliani, anche a distanza di molti anni, quando non era più parroco!
2.    La straordinaria sensibilità e la grande apertura nei confronti delle problematiche sociali, educative e soprattutto religiose del territorio in cui si trovava ad essere pastore..
Le opere che ha realizzato in quegli anni ne danno una testimonianza.
Mi sento di elencarne alcune, quelle che mi sembrano più significative.
a)    – Dotazione di arredi per il culto (quando arrivò in parrocchia non c’era quasi niente) e di opere artistiche, di pregio, per la chiesa di san Michele Arcangelo. (ad es. gli affreschi del pittore Bepi Modolo).
b)    – Nei confronti delle Attività Pastorali vere e proprie: ha incrementato e ordinato la catechesi per bambini e per gli adulti. Ha indetto missioni al popolo. Ha costruito le prime Cappelle in alcune zone più lontane della periferia della città; cappelle che diventeranno in seguito vere e proprie chiese parrocchiali(Casa Lazzara – Campo di Carne – Isole).
c)    Ha dato vita alla Associazione e al Circolo ACLI, per essere vicino al mondo del lavoro. Aprilia, godendo della famosa Cassa del Mezzogiorno, in quegli anni era meta di tanti emigranti dal sud e dalle zone più disagiate d’Italia, in cerca di riscatto.
d)    La costruzione del  Centro di Addestramento Professionale  (CAP) con l’aiuto della Pontificia Opera di Assistenza (POA) a beneficio dei giovani della parrocchia, come avvio ad un lavoro qualificato.
e)    Inizio di un vero oratorio parrocchiale con la presenza di un sacerdote, per i tantissimi ragazzi e giovani della città, in veloce espansione urbanistica con l’insediamento di nuove famiglie che continuamente arrivavano, attirate dalle numerose fabbriche che continuavano a sorgere nel territorio, favorite dalla Cassa per il Mezzogiorno.
Va ascritto a merito di don Fernando, e alla sua lungimiranza, l’acquisto di un terreno in via delle Valli (Aprilia), dove sorgerà in seguito, il famoso “Centro Sportivo Primavera”, ancora oggi, “fiore all’occhiello”, come struttura sportiva e associativa, della città.
3 – La cordialità che mostrava con tutti, la simpatia che infondeva, l’accoglienza e l’amicizia che sapeva instaurare e diffondere attorno a sé, tutto questo era qualche cosa di veramente straordinario. Queste doti di cui la natura lo aveva arricchito e che don Fernando  ha saputo coltivare, le ha usate rendendo sicuramente più fecondo il suo apostolato.
Devo dire che ancora oggi, dopo più di 40 anni, in Aprilia ci sono persone che lo ricordano con tanta nostalgia e gratitudine.
Chiudo con qualche ricordo personale
A me ha trasmesso sicuramente alcuni aspetti della sua personalità forte e insieme dolce e nobile:
– Grande amore e cura speciale per la chiesa di S. Michele, di cui, dopo alcuni anni che lui aveva lasciato per altri incarichi pastorali, sono diventato parroco.
– Disponibilità, sensibilità e dedizione ai ragazzi… Mi esortava a sempre nuove iniziative in favore della gioventù. E questo per me, è stata come una seconda “pelle”. Mi ripeteva spesso: “Per i giovani non avere mai paura di impegnare anche risorse economiche; la Provvidenza non mancherà di darti una mano“. E come è stato vero!
– Simpatia verso lo sport, come mezzo efficace per avvicinare e seguire con continuità i ragazzi, e  le loro famiglie.
– Infine da don Fernando ha appreso una regola di vita che tuttora mi anima e mi aiuta e che ho portato avanti costantemente nella mia attività di pastore perché credo nella sua efficacia: frequenti convivialità con i confratelli sacerdoti e con i più stretti collaboratori pastorali.
– Termino dicendo che sono grato al Signore per avere incontrato sulla strada del mio sacerdozio “un prete” come don Fernando.

don Giuseppe Menon

 Unione Sacerdotale - Biografie  Commenti disabilitati su don Giuseppe Menon
Lug 162014
 

don Giuseppe  Menon
“sacerdote, missionario, figlio di Dio”
(a cura del fratello don Egidio Menon)

Nato 2 giugno 1939 a S. Vito di Brendola (VI)
Ordinato 28 giugno 1964
Morto 13 febbraio 2014 Vicenza

Si è  preparato al sacerdozio a Casa San Raffaele di Vittorio Veneto.
Ha frequentato il seminario diocesano, ed è stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1964 dall’allora vescovo S.E. Mons. Albino Luciani, poi Papa Giovanni Paolo I.
Subito dopo l’ordinazione, ha raggiunto i confratelli dell’Unione Sacerdotale in servizio pastorale ad Aprilia, diocesi di Albano, dove è rimasto solo un anno.
Ha poi svolto il suo ministero per due brevi periodi in diocesi di Vittorio Veneto, nella parrocchia di Cordignano, e più tardi nell’Unità Pastorale di Godega, Pianzano e Bibano.
Ma la sua vita sacerdotale è stata soprattutto presenza missionaria in Brasile: come sacerdote “fidei donum”, vi ha lavorato per ben 35 anni, nelle diocesi di São Mateus, Caetitè e Livramento.
Lo scorso anno, colpito dal morbo di Parkinson, ha dovuto rientrare in Italia, ed è stato accolto, in grande fraternità ecclesiale, nella RSA Novello di Vicenza, da dove il Padre lo ha chiamato a Sé il 13 febbraio 2014.
La Messa esequiale è stata celebrata a Vò di Brendola lunedì 17 febbraio 2014, con la presenza di quattro vescovi, dei confratelli e di numerosi sacerdoti delle diocesi di Vittorio Veneto e Vicenza.

“Vorrei che la mia ultima parola fosse “Eccomi”, e possibilmente fosse scolpita nella pietra o simile.    A ciascuno chiedo una preghiera di lode al Padre e un canto a Maria.  Pater, fiat!
Parto  –  aspetto tutti  –  insieme per sempre”.
Sono alcune espressioni del semplicissimo testamento spirituale di Don Giuseppe.   Vorremmo far memoria di questo nostro fratello, per continuare a ripetere il nostro grazie al Padre che ce lo ha donato e perché il suo esempio ci stimoli a vivere da veri figli di Dio.
Un suo amico ci ha scritto: “D. Giuseppe non era tipo di molte parole ed amava usare sempre occhiali scuri; ma dal suo silenzio e  da dietro quegli occhiali scuri sprizzava gioia”. La sorgente della sua gioia era proprio la certezza che Dio ci è Padre, e con Gesù siamo fratelli in cammino.
Tale spiritualità gli era stata trasmessa fin da piccolo, in famiglia, in modo particolare dalla mamma, ed anche da una zia che faceva parte della Famiglia Spirituale femminile iniziata a Vicenza da P. Gioachino M. Rossetto.
L’ha poi approfondita negli anni di preparazione al sacerdozio, a Casa S. Raffaele, a contatto con i testimoni ancora viventi della “novità” annunciata e testimoniata da P. Rossetto; ricordiamo D. Isidoro Mattiello, D. Severino Marchesini, D. Fernando Dalla Libera, ed anche il vescovo S.E. Mons. Giuseppe Zaffonato.
Ne ha cercato e scandagliato la portata nelle forti espressioni di paternità sparse in tutta la bibbia, favorito dalla sua sua passione per l’ebraico, cui si è dedicato negli ultimi quindici anni della sua vita, l’ha portato a scoprire l’immensa tenerezza con cui il Padre ci ama.  Amava ripetere con il Salmo 139,5: “Alle spalle e di fronte mi circondi, e poni su di me la tua mano”. Ed univa queste parole con quelle trovate addirittura nella lettura del Corano, che definisce Dio “l’Avvolgente”!
Uno dei sogni di P. Rossetto era far sorgere un tempio a Dio Padre. D. Giuseppe ha realizzato tale sogno. Nei suoi quasi vent’anni di permanenza a Guanambi (Brasile) ha progettato e costruito il “Centro Betania” per ogni tipo di riunioni ed incontri di formazione. La grande chiesa ottagonale del Centro l’ha voluta proprio come “chiesa del Padre Nostro”: nella vetrata centrale campeggia il nome familiare di Dio, “Abba”;  e le vetrate rotonde che si aprono su ognuna delle pareti riportano ed illustrano, una ad una, le domande della preghiera insegnataci da Gesù.
Per lui la fede-fiducia in Dio Padre e la nostra risposta di figli era il punto centrale di ogni catechesi, di ogni incontro di formazione, di ogni omelia. E perché essa arrivasse più profondamente al cuore, non fosse mai dimenticata e potesse diventare vita concreta di ogni battezzato, l’ha riassunta in un piccolo libro di preghiere, cui naturalmente ha dato il titolo “Creio em Deus Pai” (Credo in Dio Padre). Ed è un fascicolo che, dopo circa trent’anni dalla prima stampa, circola ancora, non solo dove lui è passato, ma anche in altre diocesi del Brasile!
Più che con le parole o con le opere esterne, però, D. Giuseppe ha mostrato il Padre con la sua testimonianza di vita. Lo ha fatto in semplicità e silenzio, lungo tutti i suoi 49 anni di sacerdozio, ma soprattutto nell’ultimo periodo, quando il morbo di Parkinson l’ha costretto al letto. Il suo vescovo in Brasile, Dom Armando Bucciol, nell’omelia funebre gli ha detto: “Il Padre, che ti ha scelto e sostenuto anche in questo ultimo tempo della tua missione, quando questa si é fatta ancora piú silenziosa e di ‘caro prezzo’ – il prezzo del dolore –  ti dia il premio promesso”.   La sua “ultima parola: Eccomi!” è durata nove mesi: nove mesi di silenzio reale (la voce gli era quasi sparita del tutto), ma di “totale abbandono” nelle Mani del Padre, come ancora ha sottolineato Dom Armando.
Ricordando un fratello che ci ha lasciato, non ci resta che ringraziare il Padre dal quale “viene ogni dono perfetto” (Gc 1,16): ringraziare per il dono che è stato Don Giuseppe per ognuno di noi. E soprattutto aiutarci a camminare sulla strada che lui ha percorso, la strada della gioia dei Figli di Dio, che si lasciano portare dalle braccia d’Amore del Padre.  Come lui stesso ci assicura, D. Giuseppe ci aspetta… presso il Padre!

I confratelli dell’Unione Sacerdotale S. Raffaele, con D. Egidio

don Severino Marchesini

 Unione Sacerdotale - Biografie  Commenti disabilitati su don Severino Marchesini
Lug 162014
 

don Severino Marchesini

(Testimonianza di  don  Francesco Dal Cin)

Nato 16 giugno 1919 a Vestenanuova (Verona)
Ordinato 24 giugno 1943 a Vittorio Veneto
Morto 16 agosto 2004 a Roma

In data 1 ottobre 1996 don Severino lascia uno scritto, stilato di suo pugno, dove ci da’ conto in breve delle tappe principali della sua vita. Lui stesso lo definisce il suo “curriculum vitae”.
A premessa di quanto stende, cita il salmo 112,3; e  forse, senza saperlo, ci offre così il migliodon Severino Marchesinir profilo della sua identità spirituale:  “Dall’alba  del sole sino al tramonto lodate il nome del Signore”.
Possiamo dire che la sua vita è stata davvero,  “in Gesù con Gesù e per Gesù” una lode al Padre celeste.

Don Severino Marchesini nasce nel comune di Vestenanuova, in provincia di Verona il 16 giugno 1919 da papà Sisto e da mamma Augusta Rossetto.
La famiglia si sposta, quasi subito, precisamente nel 1923, a Brendola in provincia di Vicenza.
Questa nuova residenza, egli la considererà sempre, il suo vero paese e qui desidererà essere sepolto.
Nel 1930, giovanissimo, sente il desiderio di farsi sacerdote, e la Provvidenza gli fa incontrare a Monte Berico (Vicenza) p. Gioachino Rossetto, che lo accoglie a Vittorio Veneto, dove è situata “Casa Pater”, da lui aperta nell’ottobre dell’anno prima. E così don Severino sarà tra i primi sacerdoti a seguire la spiritualità di p. Rossetto.
Presso il Seminario di Vittorio Veneto compie tutti i suoi studi (ginnasio, liceo, teologia) e viene ordinato sacerdote il 24 giugno 1943 dal vescovo ausiliare di allora, Mons. Costantino Stella.
Per dieci anni svolge il suo ministero in diocesi di Vittorio Veneto con diversi incarichi  Da assistente di Azione Cattolica, a predicatore di Corsi di Esercizi Spirituali, da predicatore di Missioni al popolo, a Insegnante di religione in scuole private, ecc…
In questo primo periodo della sua vita di sacerdote, gli viene chiesto, soprattutto, di accompagnare nel loro cammino vocazionale verso il sacerdozio i ragazzi della “Unione Sacerdotale San Raffaele Arcangelo”. E allora il gruppo in cammino di formazione era di oltre una trentina di giovani, dalla Prima Media alla Quarta Teologia: viveva a Casa Pater e frequentava la scuola in Seminario..
Quanti in quel tempo hanno avuto modo di avere don Severino come “animatore”, lo ricordano ancora con tanto affetto, gratitudine e riconoscenza.
Egli, a detta di tutti, era padre e fratello. Non dimentichiamo che siamo negli anni cinquanta, molto prima del Concilio Vaticano 2° e prima degli anni della contestazione…

Nel 1953, in luglio, don Severino parte per Roma, in obbedienza al vescovo diocesano di allora, mons. Giuseppe Zaffonato,  in accoglienza all’appello di Pio XII alle diocesi d’Italia più fornite di clero perché inviassero sacerdoti nella diocesi romana, in quelli anni, in forte espansione demografica e carente di clero.
Fu quindi tra i primi a realizzare per la nostra diocesi l’aiuto e la collaborazione tra le chiese sorelle, poi sviluppatosi molto con i sacerdoti “fidei donum”.

A Roma esercita il suo ministero sacerdotale come viceparroco prima nella parrocchia di Santa Lucia (circonvallazione Clodia), poi nella parrocchia di Santa Maria Stella Mattutina, fino al 1960, anno in cui viene nominato parroco di San Giovanni Crisostomo in zona di Monte Sacro Alto.
Si trattava di una parrocchia nuova, allora in periferia, senza chiesa, senza canonica, senza opere parrocchiali. Tutto da costruire con pazienza e costanza: La chiesa parrocchiale sarà per anni un garage.
Nel 1969 con grande gioia don Severino potrà inaugurare la nuova chiesa parrocchiale con tutte le opere annesse.
Nel 1993, anno del cinquantesimo del suo sacerdozio, da’ le dimissioni da parroco, e si ritira in un appartamento, di proprietà del Vicariato di Roma, sito in via Nomentana, mettendosi con grande generosità a disposizione dei parroci circostanti per qualunque richiesta di carattere pastorale fino al 16 agosto 2004, quando serenamente chiude la sua giornata terrena per ritornare alla casa del Padre celeste.

Questa, in brevi cenni, la sua vita. Ma per cogliere la ricchezza della sua figura spirituale merita aggiungere ancora qualche riga.
Nel misterioso disegno della Provvidenza, don Severino ha avuto la fortuna di incontrare, come si è accennato sopra,  padre Gioachino Rossetto, grande testimone e missionario dell’amore del Padre celeste; da lui ha appreso quella spiritualità che informerà  la sua vita e il suo ministero.
“Egli è stato tra i primi ad aderire a quella Famiglia spirituale, costituita da una Unione sacerdotale e da un Istituto Secolare Femminile, Famiglia che – secondo la spiritualità di p. Rossetto – vuole avere appunto un contemplativo riconoscimento della Paternità di Dio e una presa di coscienza del rapporto filiale con Lui”
In questa spiritualità è cresciuto ed è vissuto don Severino; e alla diffusione di questa spiritualità ha messo a disposizione la sua vita, le sue doti e le sue forze  con la predicazione e con il sacramento della riconciliazione che ha esercitato fino agli ultimi giorni della sua vita.
Far conoscere, come ha fatto Gesù, il nome del Padre, è stato il desiderio che lo ha animato sempre e con tutti, memore delle parole di p. Rossetto: ”Un nome troppo dimenticato, troppo sconosciuto, ma il solo dato a noi come conforto dallo stesso Figlio di Dio, l’unico che lo poteva dare”.
Don Severino – lo testimoniamo quanti gli sono stati vicino –  ha cercato sempre di vivere da vero figlio di Dio, sull’esempio di Gesù.
E questa spiritualità “filiale” – che porta di conseguenza alla ricerca, spesso faticosa, di una concreta, vera e autentica “fraternità” – ha caratterizzato anche i suoi rapporti con tutti, con i confratelli dentro la  Famiglia, con le Sorelle, con i sacerdoti, con i collaboratori e con i laici, con cui egli sapeva relazionarsi molto bene, con sapienza e da autentico fratello.
Un suo confratello a conferma di una fraternità cercata e vissuta da don Severino, testimonia: “Era straordinario nella ospitalità, accogliente, attento sempre a creare un clima sereno; sopra tutto, era l’uomo del dialogo. Però non gradiva i cambiamenti repentini o le prese di posizione dirompenti, motivo di incomprensioni, di divisioni e di chiusure”.

Sicuramente, don Severino ha amato la nostra Famiglia e quella Spiritualità vissuta e trasmessa a lui, ancora giovanissimo, da padre Rossetto…
Chiudo ricordando che egli coltivava grande venerazione per “il padre”, unita a filiale gratitudine. Quando occasionalmente si parlava con lui di p. Rossetto – tolto troppo presto alla Famiglia a cui aveva dato vita – era felice di poter dire  di averlo conosciuto, di aver ascoltato le sue meditazioni sulla Paternità di Dio, soprattutto di aver potuto gustare la carica di amore che “il padre” esprimeva quando  toccava  la verità  di Dio-Padre  che Gesù è venuto a portare e a insegnarci a vivere.
Per quanti l’hanno conosciuto don Severino rimane una icona di autentico sacerdote vissuto in comunione con tutti per la lode del Padre.

don Florindo Nicoli

 Unione Sacerdotale - Biografie  Commenti disabilitati su don Florindo Nicoli
Lug 162014
 

don Florindo Nicoli
(Testimonianza di don Noè Tamai)

Nato 20 febbraio 1930 a Maragnole di Breganze (Vi)
Ordinato 20 giugno 1954 a Vittorio Veneto
Morto 16 aprile 2006 a Vittorio Veneto

Ricordare le persone care che ci hanno lasciato dopo tanti anni vissuti insieme, e ricordare quello che hanno fatto e come sono vissute, è motivo per sentire meno il peso del distacco, la tristezza per la loro separazione e, più ancora, è motivo di sprone e don Florindo Nicolidi incoraggiamento per vivere i begli esempi che ci hanno offerto e che sono rimasti vivi nella nostra memoria.
Questo per me è vero nei confronti di don Florindo, mancato oltre quattro anni fa; con lui ho vissuto, più o meno vicino , per 63 anni; prima nel momento della nostra preparazione al sacerdozio, poi come sacerdoti nella fraternità della nostra Famiglia spirituale e nell’apostolato.
I ricordi che ho di lui sono tanti e di vario genere, che suscitano in me sentimenti diversi. Ne accenno soltanto a qualcuno.
Io sono entrato a Casa San Raffaele la Domenica, Ottava di Pasqua, del 1943, portato da papà in bicicletta da Silea di Treviso, dove la mia famiglia risiedeva. Tra le persone che sono venute ad accogliermi, oltre i sacerdoti e le sorelle di Casa San Raffaele, ricordo che mi è venuto incontro Florindo, che si trovava già in casa da un anno…Mi ha colpito subito la sua statura, era alto già allora!, e i suoi calzoncini corti, di fronte a me, piccolino, che portavo i calzoni alla zuava …; ricordo che ero molto impacciato in quel momento…; lui, tutto sorridente, dopo avermi dato il benvenuto, mi presentò gli amici, tra i quali, c’era anche un certo Agostino Lazzaro, ora Frate Francescano Missionario; mi portò quindi a visitare la Casa, e poi insieme siamo andati a giocare.
Ricordo molto bene gli anni trascorsi con lui da studente, dal 1943 al 1954, anno della, sua ordinazione sacerdotale. Lo rivedo sempre sereno e allegro; si commuoveva soltanto quando parlava della sua famiglia, a cui era molto legato; non si arrabbiava quasi mai, e quando capitava, era di breve durata. Ho ancora presente quando in ricreazione si giocava a pallavolo: Florindo occupava il posto che meglio si addiceva alla sua “alta statura”… A scuola era considerato uno “sgobbone”; ordinalo, impegnato, sempre in ordine con i suoi doveri scolastici. Qualche professore godeva scherzare sul suo nome e cognome, chiamandolo “Flos de flore” o, per ricordare il suo cognome (Nicoli), storpiava la scritta che diceva: “Funicolare d’ Orvieto” in “Fu Nicola re d’Orvieto”…Erano queste le battute con le quali si scherzava anche in Brasile, negli anni che abbiamo vissuto insieme in Missione. Anch’io lo chiamavo qualche volta “Flos”, e lui si godeva, ricordando forse i bei tempi giovanili….Questo comportamento era indice del suo carattere di persona serena, allegra, facile alla battuta, per cui la sua compagnia era sempre gradita; si stava volentieri con don Florindo.
Subito dopo la sua Ordinazione don Florindo, passò un paio d’anni a Roma, perfezionando i suoi studi teologici all’Università Lateranense e fermandosi poi a lavorare in parrocchia insieme con don Severino a San Giovanni Crisostomo, fino alla partenza per il Brasile. Insieme siamo stati i primi missionari della nostra Famiglia spirituale.
Devo dire che nelle sue varie attività pastorali don Florindo ha mostrato sempre una particolare attenzione e predilezione per i giovani; gli è sempre stata a cuore la loro formazione religiosa e civile.
In Brasile, dove ha lavorato con me nella formazione dei giovani in seminario, prima come assistente e poi come padre spirituale, ha lascialo ricordi molto belli in chi ha avuto modo di godere del suo aiuto spirituale. Alcuni di quei giovani che lui ha accompagnato in seminario allora, pur a distanza di tanti anni, in occasione della sua morte, si sono fatti presenti con espressioni di profondo cordoglio e, come segno di riconoscenza, con promessa di preghiere per lui.
Rimanendo ancora alla esperienza vissuta con lui in Brasile, mi viene in mente un “bel ritratto” di don Florindo espresso proprio dai giovani seminaristi, che lui seguiva con molta cura e attenzione. Così un giorno lo definirono: Don Florindo è :”altào… careeào…bonitào” cioè “molto allo,… molto calvo,… molto buono!!!'”…In questo modo, avevano messo bene in risalto “il bello e il buono” che don Florindo era stato per la loro formazione umana, morale e spirituale.
Durante tutto il tempo trascorso con lui in missione l’ho visto molto triste, e questo per diverso tempo, soltanto in una occasione: la disgrazia di due seminaristi annegati durante una passeggiata pomeridiana in un laghetto dove erano soliti prendere il bagno. E’ stato per lui un evento dolorosissimo che lo ha scosso profondamente perché non riusciva a rendersi conto di come potesse essere accaduto un fatto così grave.
Don Florindo è stato fedele ai suoi impegni di sacerdote e di parroco; mi ricordo, soprattutto, la sua meticolosità nel preparare le celebrazioni liturgiche; non lasciava mai nulla alla improvvisazione.
Ritornato in Italia, dopo il suo servizio in missione, svolse il ministero prima come vice parroco a san Giacomo di Veglia, poi come parroco a Godcga Sant’Urbano e a Sarmede, lasciando sempre tra le sua gente bei ricordi ed espressioni di tanta gratitudine per il bene sparso e per l’esempio di pastore buono e di vero maestro di vita.
Ancora relativamente giovane la sua salute divenne piuttosto precaria e don Florindo si dovette ritirare presso la Casa di Riposo “Madonna di Lourdes”, in Conegliano. Nel frattempo subì anche un grosso intervento dopo il quale ritornò a Casa San Raffaele (Vittorio Veneto), che lui era solito chiamare: la mia Casa!!!
Accettò con serenità i limiti imposti dalla malattia; seppe offrire con grande generosità al Signore le sue sofferenze.
Nel periodo che visse in Casa di Riposo a Conegliano, gli facevo visita con una certa frequenza e confesso che, con mia grande edificazione, lo trovavo quasi sempre o con il Breviario aperto sul tavolo del suo studiolo o con la corona del rosario in mano; dalla preghiera attingeva la forza necessaria per fare la volontà del Signore. Non è stato facile nemmeno per lui vivere sulla propria pelle il “Pater Fiat” insegnatoci nel corso della nostra formazione, punto cardine della nostra spiritualità. Mi ripeteva spesso: “don Noè, bisogna provare per credere”. Così si esprimeva, mostrandoci il suo mondo interiore e il peso della croce che si era posata sulle sue spalle. Leggevo le sue parole come una richiesta di aiuto per poter portare a compimento quanto il Padre del cielo aveva disposto per lui. La sua vicenda terrena, iniziata il 20 febbraio 1930 a Maragnole di Breganzc –VI, si è conclusa il 16 aprile 2006 a Casa san Raffaele; si apriva così la sua vita in cielo. E’sepolto nel cimiero di Maragnole.
Don Florindo, io lo ricordo con affetto e ammirazione; lo sento ancora vicino e presente; mi rimane di esempio e di sprone per un cammino sempre più impegnato a vivere quella spiritualità che abbiamo vissuto per tanti anni insieme: Fratelli nella Famiglia dei figli di Dio. Egli è stato un vero Sacerdote Adoratore e Missionario.
A lui, sono certo, il Signore ha rivolto le parole che troviamo scritte nel Vangelo: “Servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, entra nel gaudio del tuo Signore”.