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don Alvise Fabris

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Lug 162014
 

don Alvise Fabris

(Testimonianza di don Ermanno Crestani)

Nato 29 settembre 1925 a Olmo di Creazzo (Vicenza)
Ordinato 18 giugno 1950, Chiesa di S. Raffaele a Vittorio V.
Morto 2 giugno 1982 all’ospedale di  Vittorio Veneto

Don Alvise Fabris nacque il 29.9.1925 da Giovanni e da Vezzaro Lucia, a Olmo di Creazzo (VI).
Il 17 Agosto 1939 entrò a Casa S. Raffaele di Vittorio Veneto, dopo aver frequentato la don Alvise FabrisI Ginnasiale presso il Patronato “Leone XIII” di Vicenza.
Compì i successivi studi ginnasiali, liceali e teologici presso il Seminario diocesano di Vittorio Veneto, assieme agli altri allievi della Casa S. Raffaele, dal 1939 al 1950.
Il 18 Giugno 1950 ricevette l’Ordinazione sacerdotale, nella Cappella di S. Raffaele, dallo zio Mons. Antonio Mantiero, allora Vescovo di Treviso.
Ha svolto quindi molteplici forme di ministero, soprattutto in campo giovanile:

–  Cooperatore nella parrocchia di Salsa dal 1950 al 1953.
–  Assistente diocesano dei Fanciulli di Azione Cattolica dal 1952 al 1956.
–  Rettore del Convitto vescovile di Poggio Mirteto (RI) dal 1956 al 1958, su richiesta del cardinale Adeodato Piazza, cui era affidata la diocesi Sabina.
–  Responsabile del Centro Addestramento Professionale ad Aprilia (LT), dal 1958 al 1960, parrocchia affidata ai confratelli dell’Unione San Raffaele.
–  Incaricato della formazione degli aspiranti al Sacerdozio nella Casa S. Raffaele di Vittorio Veneto, dal 1960 al 1968.
Insegnante di Lettere, per una decina d’anni, nello stesso periodo, nella Scuola Media del Seminario diocesano.
–  Cooperatore festivo a San Fior di Sopra dal 1970 al 1978.
–  Insegnante di Religione presso il Ginnasio-Liceo scientifico di Vittorio Veneto, dal 1974 alla morte; e in antecedenza, per qualche anno, presso l’Istituto Professionale Statale per l’Agricoltura di Colle Umberto.
– Rettore della Chiesa di S. Raffaele dal  1978 e Assistente della locale Associazione “Maria Cristina”.


La mattina del 25 Maggio 1982 fu colpito da emorragia cerebrale, che lo lasciò pienamente cosciente, per il tempo necessario a chiedere aiuto, confessarsi ed esprimere le sue ultime volontà.
Il 2 Giugno successivo anche il suo cuore cessava di battere, presso l’Ospedale Civile di Vittorio Veneto.
I funerali, presieduti dal Vescovo Mons. Antonio Cunial con un’ottantina di Concelebranti, si sono svolti nella Chiesa di S. Andrea di Vittorio Veneto, il pomeriggio del 4 Giugno 1982.
Furono poi ripetuti a Olmo di Creazzo (VI), nel cui cimitero è stata tumulata la salma.

In tutte le sue attività don Alvise portava una profonda spiritualità, che è progressivamente cresciuta, attraverso tappe fatte di preghiera, di esercizi spirituali fatti e ricevuti, di prove fisiche e morali. Verso la fine della vita, in vicinanza della sua morte, egli ha varcato certamente le soglie della mistica.
Portava nel cuore un profondo amore al mondo, tanto che lo sentivo soffrire quasi fisicamente nel vedere la società allontanarsi dalla fede e svuotarsi di valori. Fatto che immetteva nel suo animo e nelle sue attività un’urgenza e quasi una fretta di donare e di donarsi.
La sua passione più grande: la formazione dei giovani, che ha continuato a coltivare in tutte le stagioni e le attività della sua vita: nella scuola, nella pastorale, nella formazione delle vocazioni sacerdotali dell’Istituto san Raffaele, nei campiscuola di Miravalle a Pelos: “i giovani sono la mia disperazione e la mia gioia”, diceva. Era geloso di loro della stessa gelosia di Dio; sentiva forte il loro appello profondo e spesso inconsapevole alla gioia vera, alla speranza di una società migliore, agli ideali alti, ed egli li indicava loro in Gesù.

Vibrava, in modo profondo, della spiritualità attinta dalla propria Famiglia spirituale: una filiale intima contemplazione di Dio come Padre, che lo ha portato progressivamente ad unirsi a Gesù nel suo filiale abbandono al Padre: Continuo a ripetere: Padre, Papà. Io sono tuo, fa di me quello che ti piace. Io mi abbandono a Te, perché sei il mio Papà (2 maggio 1981).
E per questo aveva un acuto desiderio di comunicare anche agli altri questa spiritualità: Oso chiederti una grazia in questo momento, Papà: che molti cristiani giungano a incontrarti come Padre, che il tuo nome sia conosciuto, amato, adorato, santificato, ce venga il tuo dolce regno d’amore (ibid.)
O Padre. O Padre mio!… Voglio impiegare tutte le mie energie nel far conoscere il tuo nome di Padre, perché tu possa avere la gioia di estendere il numero dei tuoi figli. Amen (dalla sua ultima preghiera il 18 maggio 1982).
Con questo scopo egli aveva dato vita a molti gruppi di preghiera, seguiva spiritualmente le Sorelle dell’Istituto femminile di San Raffaele e organizzava incontri con gli ex-allievi di san Raffaele , per mantenere viva in loro la spiritualità filiale ricevuta.
Ha dato la vita per le vocazioni del suo Istituto: non solo perché ha dedicato a questo le sue migliori energie, ma anche perché per questo scopo ha scelto di offrirla esplicitamente:

Mio Dio, sono tuo. Fa che io sia tutto tuo. Fa di me quello che ti piace. Pur che la Famiglia continui, pur che ci siano altri figli di Dio, pur che tu conservi quelli che ci sono. E abbiamo lo Spirito!
Promessa e impegno che in letto di morte ha confidato a me che ero accorso quella mattina al suo capezzale:
Io sento che sto per morire. Ricorda che ho offerto la mia vita al Padre per la Famiglia, perché abbia nuove vocazioni che diffondano la conoscenza e l’amore del Padre….. Io dal cielo continuerò a pregare e a lavorare per questo”.

don Clemente Cietto

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Lug 162014
 

don Clemente Cietto
(Testimonianza di don Bruno Meneghini)

Nato 6 dicembre 1933 a Soligo (Treviso)
Ordinato 28 giugno 1959 a Vittorio Veneto
Morto 3 giugno 1990 ad Aprilia

Don Clemente Cietto nasce  a Soligo il 6 dicembre 1933, da una famiglia numerosa e profondamente religiosa.
Entra giovanissimo a Casa San Raffaele.
Compiedon Clemente Cietto tutto il percorso dei suoi studi: Medie, Ginnasio, Liceo, Teologia, frequentando il Seminario Vescovile.
Viene ordinato sacerdote nel Duomo di Sacile, insieme a un bel gruppo di compagni di scuola, il 28 giugno 1959, dall’allora vescovo di Vittorio Veneto, Mons. Albino Luciani.
Subito dopo la sua ordinazione, i superiori lo inviano ad Aprilia,( in provincia di Latina) dove, per altro, già si trovano, da poco più di un anno, altri confratelli di Casa San Raffaele, chiamati a reggere quella parrocchia in rapida espansione, situata alle porte di Roma, e nella diocesi suburbicaria di Albano Laziale.(cfr nota)
Ad Aprilia, quindi don Clemente, fresco di ordinazione, entra come collaboratore, nell’autunno del 1959, per rimanervi – con lo stacco di un anno sabbatico –  fino alla sua morte.
Questa lo coglierà, per un male incurabile, ancora in giovane età e in piena attività, il 3 giugno del 1990.
In parrocchia trova altri quattro confratelli di Casa San Raffaele; con loro egli si mette al lavoro, che non manca…
Aprilia, in quegli anni, era in continua e crescente espansione. Ogni giorno sorgevano case, un po’ da per tutto,  con licenza o senza licenza edilizia; era un continuo lottizzare terreni togliendoli alla agricoltura, un continuo aprire strade e vie nuove, spesso in modo molto disordinato, senza un piano regolatore, ecc…  In una parola “senza regole”.
Volendo fermarci al solo campo della pastorale, per avere un’idea di che cosa era allora la parrocchia di San Michele (Aprilia), riporto un semplice dato: i battesimi che si amministravano nel corso di un anno si aggiravano attorno ai 300 e anche più!!! Senza pensare ai giovani e ai nuclei familiari che quotidianamente arrivavano da ogni parte dell’Italia in cerca di lavoro..

Sotto la guida del parroco (don Fernando Dalla Libera), si lavorava tutti in sintonia, ciascuno responsabile del proprio settore; eravamo davvero una bella equipe! Si programmavano la varie attività insieme, con incontri settimanali di una intera mattinata, con puntuali verifiche, sopra tutto in piena comunione e tanto entusiasmo. Eravamo tutti giovani… Non mancavano gli scontri, ma venivano quasi sempre ricomposti con l’aiuto di quella fraternità che ci univa,  e che ci caratterizzava  in quegli anni anche agli occhi del presbiterio diocesano; di noi si diceva:  “Quello di Aprilia è un gruppo particolare di preti”.

Don Clemente negli anni trascorsi nella parrocchia di san Michele svolse il suo ministero in più settori, come del resto molti di noi, sacerdoti di Casa San Raffaele, che lì abbiamo dato il meglio delle nostre personalità.
Per la sensibilità e l’attenzione verso il mondo del lavoro,  che lo ha accompagnato da sempre,  fin da studente,  ebbe  molto presto l’incarico di “Assistente Acli”, dove si prodigò con tutto se stesso, donando gran parte del suo tempo ed esprimendo il meglio delle sue doti, con riunioni settimanali, incontri,  dibattiti,  anche con la presenza di alcune belle figure di personalità di spicco.
Credo sia giusto ricordare una sua caratteristica personale che a mio avviso lo contraddistinse sempre, fino all’ultimo:  “la sua disponibilità”. Tra di noi, che lavoravamo insieme, era diventato normale, in certe circostanze dirci: “Vai da don Clemente”. E spiego il perché: con tante attività che c’erano in parrocchia, capitavano spesso degli imprevisti, – cose da fare, che erano di tutti e di nessuno –  In queste occasioni, dal parroco a tutti noi, a chi si ricorreva? A don Clemente che,  spostando i suoi impegni – certamente con tanta generosità  e  sacrificio personale! –  ci rispondeva quasi sempre  di sì.

Nel 1971 venne nominato parroco di Campo di Carne: una grossa frazione di Aprilia a circa cinque km dal  centro città.
Anche qui don Clemente diede tutto se stesso “prima per creare una vera Comunità,  e poi per  farla crescere”.

Il 3 giugno 1990  –  lo ricordavo già sopra –  don Clemente moriva, al Policlinico Gemelli di Roma, dopo cinque lunghi mesi di dolorosa malattia vissuta con grande serenità e coraggio, con fede e con abbandono filiale al Padre del cielo, lasciando un bel ricordo in quanti lo avevano conosciuto.

Io sono tra costoro, anzi la mia è stata una vera condivisione di vita con don Clemente, prima di tutto, a Vittorio Veneto in Casa Pater, da studenti – ci divideva un anno soltanto – e poi, diventati sacerdoti, per parecchi anni nella parrocchia di  Aprilia, ambedue impegnati nella pastorale di quella città..

A Vittorio Veneto, soprattutto negli anni di teologia, eravamo molto spesso uno accanto all’altro sia nei corsi di studio che si svolgevano insieme, sia anche nell’affrontare situazioni  di vita che si incontravano a Casa Pater.
Le difficoltà che nascono e ti accompagnano nel corso della vita, nel momento in cui vivi insieme e condividi la tua situazione,  ti portano a cercare delle “alleanze” con altri per  meglio superarle.
Devo dire che in più di una occasione, don Clemente ed io, ci siamo aiutati vicendevolmente, pur riconoscendo di avere caratteri diversi.

Ad Aprilia il suo impegno – l’ho accennato anche sopra –  è andato verso le aspettative del mondo operaio mentre io mi sono trovato a lavorare sul versante del mondo dei giovani.. Questo però non ci ha impedito di operare in comunione e in sintonia tra di noi.

Aggiungo un’ultima osservazione. Tra le altre attività pastorali svolte in Aprilia, mi è stato affidato il servizio pastorale della zona di Campo di Carne; e questo dall’anno 1961 fino all’anno 1970, quando subentrò don Clemente, come parroco. Rivedendo  a distanza di tanto tempo  – sono passati quasi quarant’anni – il lavoro che la provvidenza ha voluto svolgessimo, forse, senza accorgerci,  “la nostra spiritualità”, ricevuta negli anni di formazione ci ha accomunati nei contenuti e anche nelle modalità del nostro ministero.
Prima di stendere queste  righe sulla figura di don Clemente e sul suo lavoro pastorale,  ho voluto  ritornare – con una certa nostalgia – a Campo di Carne… la mia e la sua parrocchia!!!
Mi sono incontrato con varie persone che hanno avuto modo di conoscerlo; ho parlato con loro di lui..
Con mia grande meraviglia e insieme con un senso di tanta  gioia dentro,  ho notato che pur a distanza di quasi 20 anni da che non c’è più in parrocchia, don Clemente vive ancora nel cuore di tantissime persone che lo hanno conosciuto e lo hanno saputo apprezzare per la sua “grande” personalità di uomo “umile, vero, sincero”.
L’immagine che rimane indelebile è il suo immedesimarsi alla gente, e il suo donarsi senza risparmio per tutti.
Ha speso, nel vero senso della parola, la sua vita per i fratelli.Mi pare di poter applicare a don Clemente ciò che la Scrittura afferma dell’uomo giusto: Egli “rimane in benedizione”.


Nota:  (Allora,  anni cinquanta, Albano Laziale era  una delle Diocesi suburbicarie di Roma con un vescovo titolare residente a Roma, e  in quegli anni era il card. Pizzardo, mentre in loco operava  un vescovo, (mons. Macario), una specie di vicario generale. Come prefetto della Congregazione dei Seminari, il card. Pizzardo, su suggerimento di Pio XII, avendo scarsità di clero sia la diocesi di Romasia quelle suburbicarie, chiese alle diocesi italiane, in quel tempo ricche di preti, di venire incontro. La risposta fu di grande generosità. Ecco spiegata  la presenza e il servizio pastorale in quelle diocesi di sacerdoti incardinati altrove).

don Mario Albertini

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Lug 162014
 

don Mario Albertini

Nato 2 febbraio 1925 a Valdagno
Ordinato 21 settembre 1947 a Vittorio Veneto
Morto 26 giugno 2013 a Vittorio Veneto

Era nato a Valdagno il 2 febbraio 1925, quinto di otto fratelli.
Ha studiato presso il Seminario di Vittorio Veneto e si è laureato in utroque jure all’Univ. Lateranense.
Ordinato sacerdote  da Mons. Zaffonato il 21 settembre 1947, ha svolto il suo ministero per 12 anni a Vittorio Veneto come stimato insegnante di religione al Dante e poi al Classico. È stato assistente degli Universitari vittoriesi (FUCI), direttore della Casa dello studente, svolgendo attività pastorale nella Chiesa di San Raffaele.

Dal 1963 al 1988 ha svolto il suo ministero a Roma come assistente della FUCI nazionale; è stato rettore del Seminario san Paolo per vocazioni adulte, ha svolto per 14 anni l’incarico di sottosegretario della Congregazione mondiale dei Religiosi per gli Istituti secolari
Ha collaborato per qualche tempo anche alla Radio Vaticana e ha tenuto le omelie domenicali alla Televisione nazionale

Ha guidato l’Unione sacerdotale di san Raffaele dal 65 al 75 e successivamente dal 90 al 2005.
Nel 1988 è tornato in Diocesi di Vittorio Veneto dove per 15 anni è stato responsabile dell’aggiornamento del clero diocesano, svolgendo nel contempo anche incarichi di difensore del vincolo nel Tribunale ecclesiastico del Triveneto, insegnante di diritto canonico presso lo studio teologico di Vittorio Veneto-Treviso, docente all’università degli Anziani di VV e dal 1988 appassionato e apprezzato cappellano festivo a Sant’Andrea, parrocchia dove aveva fatto catechismo già da giovane chierico, incantando i bambini con i suoi racconti.
Negli ultimi temi è stato anche confessore nel Seminario di Vittorio Veneto.
Di don Mario ci restano anche molti scritti, la maggior parte dei quali stesi negli ultimi anni della sua vita: in essi descrive e propone la sua tenace ricerca del vero volto di Dio, espressa spesso in forma di dialogo e … discussione con Lui. Essi presentano tratti autobiografici, o ricercano la problematica religiosa negli scrittori moderni e contemporanei tra i quali ha spicca Dostoijeski, del quale era un appassionato ammiratore, ma anche Camus, Tolkiem (Il Signore degli anelli) e altri. Ha
Sacerdote stimato per la sua viva spiritualità che gli faceva sentire Dio come Padre, per la chiarezza e la profondità del suo pensiero, per la continua, talvolta sofferta, ricerca di un dialogo tra intelligenza e fede, per la sua onestà intellettuale, per la semplicità di vita, per la sua passione/amore alla montagna, per il suo attaccamento agli affetti familiari, per la sua propensione all’amicizia sincera…
“Don Mario era una persona (e un sacerdote) quietamente… straordinario!” (una della FUCI)
“tra i doni da lui ricevuti essi la sua inaspettata capacità di giocare con i nostri figli piccini quand’era ospite nelle case – le confessioni da lui – le parole che diceva in confessione sempre lasciavano il segno – i libretti che inviava periodicamente – la conversazione sempre amabile e sempre critica e mai amara”
Ecco come lui stesso nel suo Testamento spirituale, titolato Ultime riflessioni parla della sua spiritualità:
“   Voglio dire anche qui un grazie al mio Angelo Custode; mia madre mi ha insegnato ad affidarmi a lui, di cui ho sempre sentito la protezione.
Confido che Maria Ss.ma “preghi per me nell’ora della mia morte”, come lo fa “adesso”.
Spero mi sia dato di esprimere la mia riconoscenza al Padre che è nei cieli, fiducioso nel suo amore misericordioso, quell’amore che ha voluto rivelarmi in Cristo Gesù, mio Signore e Salvatore”.
I Funerali hanno avuto luogo il 29 giugno 2013, festa dei SS Pietro e Paolo, nell’antica Pieve di Sant’Andrea in Vittorio Veneto, e riposa nel Cimitero di Sant’Andrea, come da lui desiderato.

curriculum vitae —  Mario ALBERTINI
nato a Valdagno (VI) il 2 febbraio 1925 (quinto di otto fratelli
accolto nel 1936 alla Casa S. Raffaele – Vittorio Veneto
studi di ginnasio – liceo – teologia presso il Seminario Vescovile
ordinato sacerdote il 21 settembre 1947 – da mons. G. Zaffonato
laureato in utroque jure nel 1951 presso il Pont. Ateneo Lateranense

tre periodi di attività:

dal 1951 al 1963 a Vittorio Veneto
insegnante di religione prima al Dante poi al Classico
assistente eccl. dioces. (e del circolo di Vitt.Ven.)
degli Universitari cattolici (FUCI)
direttore Casa dello Studente di Vitt.Vene.
attività pastorale nella Chiesa di s. Raffaele – V:V:

dal 1963 al 1988 a Roma
’63 -’74 vice assistente nazionale FUCI
’66 – ’74 direttore Seminario san Paolo
per vocazioni adulte di universitari e laureati
’74 – ’88 sottosegretario alla Congregazione dei Religiosi
per la Sezione Istituti Secolari
’65 – ’75  direttore dell’Unione sac. san Raffaele di VV

dal 1988 al a Vittorio Veneto
’89 – ’06 responsabile Commissione per le iniziative di aggiornamento per il Clero diocesano
’89 – ’10 difensore del vincolo al Tribunale ecclesiastico Triveneto
’89 – ’97  insegnante di diritto canonico presso lo studio teologico Treviso-Vittorio Veneto
’89 – ’05 docente all’università degli anziani di VV
’90 – ’05 direttore dell’Unione sac. san Raffaele di VV
’88 -2013 cappellano festivo alla Pieve di  S. Andrea VV

don Aldo Bellio

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Lug 162014
 

don Aldo Bellio
(Testimonianza di Don Luigi Fossati)

Nato 7 dicembre 1942  a Silea (Treviso)
Ordinato 25 giugno 1967 a Vittorio Veneto
Morto 1 settembre 1990 all’ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale

Nato nel ’42, è morto a quarant’otto anni.
Nella Comunità parrocchiale e nella città di Aprilia ha lascialo un ‘vuoto’ che non è stato più colmato.
Non so quanto nel vivere il suo sacerdozio Aldo proclamasse a parole o negli scritti la paternità di Dio. Sono certo che testimoniò tantissimo nella sua vita privata e pubblica la don Aldo Belliofraternità con gli ultimi, con i piccoli e con i bisognosi, con il Territorio che l’ospitava. Letteralmente ‘tutta’ la sua vita di prete fu a loro servizio. Beata la moglie che trova un marito che le dona altrettanto intensamente la sua vita.
Un ricordo particolare. Alle sette del mattino, la salma di don Clemente era stata affidata al carro-funebre che, da Aprilia, l’avrebbe portata a Soligo, per le esequie in paese con i famigliari Cietto e con i conoscenti. Nella casa-canonica di San Michele, quella giornata ebbe un tono dimesso… La sera, seduto con Aldo davanti la tv, un poco disorientato per dei fatti che non mi erano piaciuti, mi alzai dalla poltrona e diedi la ‘buonanotte’ ad Aldo. Stavo già con la mano sulla maniglia della porta delle scale:
A chi ghe tocheralo la prossima volta?” mi chiese Aldo collegando il pensiero alla salma di don Clemente che ci aveva lasciati. Mi fermai perplesso. Teneva lo sguardo fisso su di me. Lo guardai negli occhi e con voce incerta:
A proposito, Aldo… se me capita che i me trova un tumor…, te preghe per amicizia: dimelo subito. No menar al can per l’aia“. Lui me lo promise, chiedendomi la stessa fraternità nei suoi confronti. Un segno con la mano e salii in camera.
Dopo poche settimane Aldo morì. Di un tumore che lo tormentava da tempo e che gli aveva irrimediabilmente devastato l’intestino (colon trasversale) ed altri organi dello stomaco.
Per assecondare la sua inclinazione naturale, dopo i primi anni di sacerdozio vissuti in Aprilia, Aldo aveva frequentato per tre anni studi di sociologia alla Gregoriana. Erano gli anni fecondi della contestazione: ’69-70-71. Gli anni del dopo-Concilio. Spesso ci parlava con entusiasmo di Tuffari, Pin, Diez Alegrja… alcuni dei suoi professori d’università. Per due anni visse accanto a Don Severino Marchesini, nella parrocchia di San Giovanni Crisostomo. Poi ritornò ad Aprilia: così ci trovammo in sette confratelli a collaborare nella pastorale parrocchiale. Aldo mise subito a servizio della città e della Comunità cristiana la sua specifica preparazione culturale e la sua sensibilità attenta al sociale. Gli fu affidata la cura pastorale della frazione territoriale di Montarelli: 800/1000 persone racchiuse tra la Nettunense e la statale 148. In San Michele era stato incaricato dell’Ufficio Parrocchiale con particolare attenzione alla pastorale matrimoniale.
Una strana ‘allergia’ lo metteva in difficoltà quando si trovava ad agire e a parlare di fronte alla folla. Accusava di sentirsi come preso come un vortice che lo stordiva, che gli faceva perdere l’equilibrio. Sudava da ogni poro della pelle e doveva ritrovare l’equilibrio fisico mettendosi seduto. Aveva una netta predilezione per il dialogo nei piccoli gruppi. Poche volte celebrò da solo nella chiesa di San Michele, troppo vasta per lui e spesso molto frequentata. Per lo più si rifugiava nella concelebrazione: quand’era in piedi teneva una mano poggiata all’altare; se seduto teneva la mano sul bracciolo della sedia accanto.
Per ‘ricuperare’ la sua ‘assenza’ dal servizio liturgico in San Michele (me lo confidò lui stesso, quasi preoccupato di essere di peso per noi, data la sua difficoltà psico-fisiologica), tutte le domeniche pomeriggio, contati e suddivisi con me e con Gemma, una Sorella dell’Istituto secolare delle Figlie di Dio,  i soldi delle offerte, andava in chiesa e lì ‘pregava’ -proprio così mi disse- con la pattumiera e con la scopa… fazzolettini di carta, cicche e foglie secche trascinate in chiesa sotto le suole delle scarpe di mille e più persone, bustine di plastica…, risistemava ordinatamente sui banchi i trecento foglietti della liturgia, lasciava tutto pronto per la santa Messa vespertina. Tranne che in inverno, usciva dalla Chiesa dopo un’ora e più, madido di sudore. Forse nessuno gli ha mai detto ‘grazie’ per questo servizio nascosto e silenzioso.
Poi andava al ‘Centro don Milani’ dove aveva chiesto di poter disporre di due stanzette tutte per sé, per raccogliere e catalogare il materiale cartaceo che gli sembrava degno di nota sui problemi dibattuti al momento sia religiosi che sociali in genere, sia sui problemi particolari del Territorio, della città di Aprilia, della Diocesi e della Parrocchia. Il tutto diventerà, dopo la sua morte, il patrimonio delle Biblioteca dedicata proprio alla sua memoria. Aldo rimaneva chiuso nel suo ‘regno’ (con la radiolina accesa sui risultati della Juve, del Treviso (calcio-rugby-pallavolo) a lavorare per ore e ore… catalogava le riviste e i giornali della settimana… ritagliava o fotocopiava gli articoli mettendoli nelle apposite cartelle suddivise nei cento argomenti… raramente rientrava per l’ora della cena: gli piaceva cenare sul tardi, tra le 21 e le 22. Si cucinava due uova in camicia. Un dato per capire quanto lavorava: gli abbonamenti annuali a riviste di teologia, di sociologia, di cultura gli costavano -siamo negli anni ’80- più di due milioni. Chiedeva di avere a spese della parrocchia due quotidiani, a volte anche di più se le circostanze lo consigliavano e raccoglieva tutte le pubblicazioni locali: di ogni società presente sul Territorio, di ogni Circolo, di ogni formazione politica. Con due suoi amici fece qualcosa come milletrecento fotografie-documento del Territorio di Aprilia: centro-città e campagna-periferica.
Per il tanto e documentato materiale raccolto in pochi anni di lavoro certosino e sistematico Aldo era spesso contattato in Aprilia: dal mondo della scuola, dell’Associazionismo e a volta anche dal mondo politico. So di un assessore che gli commissionò una precisa documentazione sul problema dei ‘diversamente abili’ del Comune di Aprilia, per predisporre poi un’adeguata assistenza cittadina. So di concorsi scolastici vinti da studenti con il materiale specifico da lui messo a loro disposizione. Ricordo con commozione e con convinzione i vari Convegni cittadini organizzati insieme con lui, sempre su sua iniziativa, a nome della Parrocchia, su questo o quel disagio sociale di cui Aprilia purtroppo abbondava.
Intorno ad Aldo e al suo lavoro di analisi, di documentazione e di sensibilizzazione nacque per sinergia un nutrito e vivace ‘Gruppo Lavoratori’ che in casi particolari provocò anche difficoltà all’interno della vita parrocchiale. Ad una circostanziata accusa rivoltagli dal fratello-maggiore del nostro gruppo sacerdotale durante uno dei nostri incontri mensili (si trattava di due suoi articoli pubblicati su un mensile di Anzio/Nettuno che riguardavano il clero diocesano) -accusa allargata anche da altri interventi di critica per la presenza quotidiana di certi giovani nel suo Ufficio- Aldo ci rispose pressappoco con queste parole: Voi nella tradizionale pastorale sacramentale avvicinate e seguite la gran parte dei cristiani locali per rispondere alle loro richieste. Io mi lascio avvicinare, cerco di dialogare con quelle persone che in chiesa o dal prete non verrebbero mai. Almeno così è lasciata aperta una porta anche ad una fascia di persone che vivono assieme a noi nello stesso Territorio…
Insostituibile la sua collaborazione al mensile ‘Comunità parrocchiale‘ fortemente da lui voluto, difeso e diffuso. Su quelle pagine c’è ancor oggi una ricca e circostanziata documentazione sui problemi di Aprilia, quali: scuola ( edilizia, abbandono scolastico, tempo pieno), fabbriche, edilizia popolare, disagio giovanile, elezioni politiche e amministrative, nuove parrocchie,- gli immigrati… collaborazione che talvolta gli costò difficoltà anche all’interno del nostro gruppo sacerdotale. Storica e con echi diocesani la questione del referendum sul divorzio, quando dalle pagine del mensile, con la firma del Gruppo Lavoratori invitava a votare “no” all’abrogazione della legge che aveva introdotto in Italia la possibilità civile di divorziare.
So per certo che il materiale affidato da Aldo al mensile parrocchiale e servito in seguito ad almeno tre studenti universitari dì Aprilia per la loro tesi di laurea: una psicologa, un sociologo e un architetto. Lasciai Aprilia nel ’96. Anni dopo fui contattato da persone del mondo della scuola di Aprilia desiderose di consultare la documentazione lasciata da Aldo nelle pagine rilegate del mensile.
Una confidenza, se può servire a capire meglio il nostro caro confratello. La trovo nel mio diario dell’88: “13 aprile – Aldo mi chiede di lasciare con lui Aprilia, di ritornare a Vittorio Veneto, chiedendo di gestire insieme la Biblioteca di Casa Pater, naturalmente aprendola al pubblico aggiornata sulle tematiche delle ricerche più recenti. Per renderla una delle voci nel dialogo socio-culturale di Vittorio Veneto. Lui ci credeva tanto”. Io non ne ho avuto il coraggio.
Ancora tre aspetti mi piace sottolineare della vita comunitaria di Aldo:
1-    sapeva mantenere un rapporto positivo, aperto e collaborativo anche con le persone che sentiva lontane dalla sua visione culturale dei problemi della vita quotidiana;
2-  la sua attenzione alle piccole cose. Qui dovrei scendere in particolari personali e non mi va di farlo. Comunque ricordo sue asserzioni fatte dopo anni da certi avvenimenti, asserzioni dalle quali traspariva la sua sottolineatura di particolari che a me sembravano del tutto trascurabili e che invece lui aveva colto come particolarmente validi.
3- Era il contrario di Andreotti, famoso per aver detto: a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina. Con Aldo nei frequenti colloqui quotidiani constatai come sempre cercasse di fare una lettura positiva dei fatti che ci interessavano, dell’agire di questa o di quella persona. Penso che questo fatto lo abbia anche portato ad una morte prematura: si fidò troppo del suo medico, contattato sempre e solo per telefono negli ultimi tre anni…
Se chiudo gli occhi, rivedo il corridoio dell’Ospedale Regina Apostolorum ‘reparto sacerdoti’ (la prima volta che Aldo entrò ricoverato in un ospedale fu anche l’ultima). Lui mi stava di schiena. Le spalle erano ossute, scheletriche come un attaccapanni. Trascinava le pantofole. Pensai e pregai tra me: va tranquillo, Aldo. Al di là della porta troverai due braccia di Padre che ti diranno “Ero in carcere e sei venuto a trovarmi… ero forestiero e mi hai accolto con ospitalità… avevo fame e tu ti sei fatto in quattro per nutrirmi di speranza…”. Dopo i miei famigliari, Aldo è la più bella amicizia della mia vita. Mi ha spinto a frequentare orizzonti che da solo, probabilmente, non avrei mai gustato.

don Dorino Conte

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Lug 162014
 

don Dorino Conte
(a cura di  don Francesco Dal Cin)

Nato 9 gennaio 1915 a Enego (Vicenza)
Ordinato 12 aprile 1941 a Vittorio Veneto
Morto 2 marzo 1991 a Gattinara (Vercelli)

Nasce a Enego, un piccolo paese  in provincia di Vicenza, il 9 gennaio 1915.
Dopo le scuole elementari entra a Casa Pater.
Fa parte, insieme con Doro,(il futuro don Isidoro) dei “primi” accolti da p. Gioachino Rossetto nell’odon Dorino Contettobre del 1929 alla apertura di Casa Pater.
Compie tutti i suoi studi frequentando il Seminario Vescovile di Vittorio Veneto e riceve l’Ordinazione sacerdotale il 12 aprile 1941.
I primi anni del suo ministero – sono gli anni della guerra –  li vive a Casa Pater, con l’incarico di seguire come padre spirituale il gruppo di studenti più giovani.

Nel 1946 Mons. Beniamino Socche, vescovo di Reggio Emilia, e “figlio spirituale” di padre Gioachino Rossetto, lo sceglie come suo segretario, per cui don Dorino lascia Casa Pater e si stabilisce lì.
Il 1 gennaio 1950 il vescovo mons. Socche lo incardina tra il clero della diocesi di Reggio Emilia.
L’8 settembre 1952 don Dorino lascia il lavoro di segretario e passa, per desiderio del vescovo, a un nuovo incarico: viene nominato Assistente agli operai della città di Sassuolo (Reggio Emilia).
Qui egli esprimerà il meglio di se stesso donandosi con tutta la sua carità di pastore e di padre verso i giovani.

Il 14 giugno del 1955 don Dorino è fatto Monsignore!!!
Di questa onorificenza così lascerà scritto nel suo testamento: “Sento di non aver mai cercato gli onori… Sappia il “MIO” Ecc.mo Vescovo che resta quella onorificenza “Vergine e Martire”: Vergine, perché nulla ha prodotto, perché rimase così sulla carta come il primo giorno, per sempre; Martire, perché se da qualcuno veniva usato era per me la più grande confusione”

Il 18 ottobre 1966 – dopo la chiusura della scuola ACAL  (Attività Cattolica Avviamento al Lavoro),  “la sua scuola”!!! – diviene parroco di Dinazzano.

Muore il 2 marzo 1991 a Gattinara in provincia di Vercelli

La figura e l’opera di don Dorino merita ben altro di quanto è dato di poter dire  in un breve profilo come questo, fatto soprattutto di date.
Ciò è stato fatto da quanti la Provvidenza ha fatto godere della sua presenza, con iniziative di vario genere, nella diocesi di Reggio Emilia.[con Pubblicazioni  e  Associazioni a lui intitolate.]

Io lo ricordo quando, insieme con Monsignor Socche, – il quale amava quasi tutti gli anni trascorrere qualche giorno con i Fratelli Sacerdoti e con le Sorelle “in casa nostra” a Vittorio Veneto – da Reggio Emilia, veniva a farci visita.
Vedo ancora il suo volto sorridente e sento ancora il timbro tutto particolare della sua voce…Era un volto che lasciava trasparire grande serenità  d’animo  e insieme una grande forza interiore.
Questo ricordo di don Dorino.

Aggiungo ancora qualche riga, che mi viene offerta stralciando dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto nel suo ministero.
-A Sassuolo si è sentito l’esigenza nel 2005 di dare vita ad una Associazione, detta  “Don DORINO CONTE”  per ricordare il prezioso lavoro sociale compiuto da lui in quella città negli anni cinquanta.
Egli è stato il Fondatore di una scuola di Ceramica che tanto bene ha fatto all’intera città, negli anni immediatamente successivi alla guerra, i primissimi anni della ricostruzione. Don Dorino diede vita nella città di Sassuolo alla scuola, denominata “ACAL, con la finalità di recuperare i ragazzi senza alcun titolo scolastico,… se non quelli delle scuole elementari!!! e avviarli, “preparati”, al lavoro nelle fabbriche che sorgevano in quel momento come funghi sul territorio, In modo particolare nel settore della “Ceramica”.
Nello statuto della Associazione, che porta il suo nome, al terzo comma si legge: L’Associazione  “intende con la sua esistenza onorare e tenere vivo il ricordo di Don Dorino, per l’opera educatrice ed il contributo tecnico formativo offerto che fu determinante per il miracolo economico del comprensorio”

-E sempre per sottolineare il lavoro nel mondo del sociale compiuto da don Dorino, nella presentazione di un libro dedicato alla sua figura. Il presidente della suddetta Associazione si esprime con parole piuttosto dense di significato: “La pubblicazione di questo libro deve servire a proseguire nella ricerca della verità storica sulla vita e sulle opere di questo grande sacerdote”.

Mi piace ricordare ancora cosa scrivono di lui due coppie ,(allora, erano Giovani Sposi)  “Don Dorino Conte è stato il grande amico della nostra giovinezza.
Ci ha dato tanto, stima, amicizia vera, grande esempio di fede viva, di semplicità e di bontà infinita, attento all’ascolto e al dialogo con tutti,  grandi e non.
Non possiamo dimenticare quella porta sempre aperta in quella misera canonica.
A qualsiasi ora ci accoglieva, sorridendo sempre, non chiedeva mai per lui e sempre aveva qualche cosa da offrire. Magari una semplice tazza di the preparata dall’Angelina dimenticando spesso lo zucchero o il limone, ma quanto era buono! Come mai? Era la gentilezza nell’offrirlo. Quel sorriso aperto, sincero chi può dimenticarlo?(Franco, Lalla, Ninni e Maria Silvia).

Mi sembra bello chiudere riportando, dal suo Testamento Spirituale, parte di quella che lui chiama  “la sua confessione”:

“Sono vissuto in casa altrui sempre, su un letto in prestito, mantenuto come un mendicante…
di quanto al Provvidenza mi mise tra mano è stato tutto utilizzato a bene altrui non pensando affatto per me…
Sento di morire povero, di non aver mai cercato gli onori…
Ho dedicato la mia vita ai giovani…
Lascio a tutti la mia supplica: salvatevi l’Anima perché se la salvate avete fatto tutto, se la perdete, avete perduto tutto”

Bella figura di prete vero, quella di don Dorino. Egli  “ha speso tutto” nella sequela a Cristo, e nell’amore ai fratelli.